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di Rinaldo Frignani

Corriere della Sera, 2 ottobre 2023

Dalla Consulta (che bocciò i provvedimenti di Salvini) ai no dei tribunali. Era il 9 luglio di tre anni fa quando la Consulta bocciò il decreto sicurezza del 2018 fortemente voluto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini per contrastare l’immigrazione clandestina nel nostro Paese. La Corte costituzionale dichiarò illegittima la norma che escludeva i richiedenti asilo dall’iscrizione all’anagrafe, in quanto violava l’articolo 3 della Costituzione che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Per i giudici quel provvedimento era “irrazionale” e conteneva un’“irragionevole disparità di trattamento”.

Una decisione che costrinse la responsabile del Viminale Luciana Lamorgese a correggere in corsa i decreti sicurezza: una conferma del fatto che le misure prese dalla politica, anche sull’onda del consenso popolare, si possono poi scontrare con la realtà dei fatti. Non solo nelle aule dei tribunali, ma anche nella concreta applicazione nella vita di tutti i giorni da parte delle amministrazioni locali e delle forze dell’ordine.

E adesso, dopo il rilascio dei tre migranti dal centro di trattenimento di Pozzallo in seguito alla decisione del tribunale di Catania che ha ritenuto il decreto Cutro contrario alle norme europee e alla Costituzione, si teme che la storia possa ripetersi. Del resto il recente passato è costellato da sentenze e decisioni dei giudici che hanno evidenziato le falle nei provvedimenti votati anche con numeri importanti in Parlamento. Fra i casi più recenti quello del maggio scorso: ancora una volta la Consulta ha stabilito che non si può automaticamente respingere una richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro a uno straniero condannato per reati di lieve entità - in quelle circostanze per piccolo spaccio di droga e vendita di merci contraffatte contestando di fatto per illegittimità costituzionale due commi di due articoli della legge sull’Immigrazione del 1998.

E ancora: sempre la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’aumento di un terzo della pena per i reati commessi da immigrati irregolari sul territorio nazionale, bocciando di fatto il decreto legge 92/2008 sulle misure urgenti in materia di sicurezza pubblica in quanto anch’esso viola l’articolo 3 - e anche l’articolo 27 che sancisce “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” - della Costituzione. In pratica secondo i giudici essere clandestino non può rappresentare un’aggravante. Ma proprio la Consulta si è espressa anche su altre questioni che riguardano i migranti e la loro integrazione nella società italiana contestando la legittimità costituzionale di leggi e decreti, con decisioni che fanno giurisprudenza nei tribunali. Come la sentenza con cui ha risolto la questione dei bonus bebè e l’assegno di maternità negati alle cittadine extracomunitarie senza permesso di soggiorno definitivo.

La violazione della Carta costituzionale è sempre al centro delle disposizioni della Consulta. Anche quando riguarda leggi regionali che negano diritti agli stranieri soprattutto in materia di welfare. Un esempio è la discriminazione delle famiglie dei migranti individuata dalla Corte che qualche anno fa ha bocciato una norma della Regione Veneto nella quale veniva stabilito come titolo preferenziale per l’iscrizione dei bambini all’asilo nido la residenza ininterrotta per 15 anni.

Ma anche sul fronte del contrasto al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, gestita spesso da clan malavitosi che sfruttano i profughi sbarcati in Italia, la magistratura è intervenuta con decisione: come a maggio dello scorso anno con l’assoluzione di quattro rifugiati eritrei perché il fatto non sussiste dopo un processo durato sei anni per aver aiutato alcuni connazionali e per questo condannati in primo grado con l’accusa di aver fatto parte di un’organizzazione di trafficanti di esseri umani.