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di Luigi Ferrarella

Corriere della Sera, 21 novembre 2023

Uno dei nuovi reati proposti vorrebbe parificare, nella sanzione di 8 anni, chi in un carcere “usi atti di violenza o minaccia” con chi solo pratichi “resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti”. Il populismo penale come analgesico a buon mercato all’ansia sociale, certo. La moltiplicazione dei reati pescati all’amo dei talk show tv d’area, anche. Ma la vera cifra del testo del disegno di legge pubblicizzato dalla maggioranza come ennesimo “pacchetto sicurezza” è forse lo slittamento del significato delle parole e degli istituti giuridici.

Lampante in due esempi. Uno è il compasso dell’immunità riconosciuta agli agenti dei servizi segreti per i reati eventualmente compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni: immunità che, diversamente da quelle già esistenti per gli 007, verrebbe ora a cuor leggera traslata ed estesa anche alle loro “fonti”, pur se certo non ne condividono né i vincoli di lealtà istituzionale né le catene di comando.

L’altro evidente esempio é che nessuno, nel parlare di carcere, metterebbe mai sullo stesso piano la resistenza passiva con le violenze di una rivolta. E invece uno dei nuovi reati proposti vorrebbe parificare, nella sanzione di 8 anni, chi in un carcere “usi atti di violenza o minaccia” con chi solo pratichi “resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti”.

C’è una bella differenza. Assumersi la responsabilità di decidere per protesta di non collaborare a un ordine ricevuto può se mai, per un detenuto, essere fonte di procedimenti disciplinari interni, può magari pesare negativamente sulla concessione o meno di un beneficio penitenziario: ma per slittare da resistenza passiva a rivolta occorre, al legislatore, una certa faccia tosta proprio nei giorni in cui per due ravvicinate volte la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo condanna l’Italia per non aver assicurato cure mediche tempestive e adeguate a un detenuto esposto perciò a “trattamento inumano e degradante, e per aver nel 2016 arbitrariamente trattenuto e (mal)trattato quattro stranieri in un Centro richiedenti asilo.

E in un universo in cui, più in generale, a violare sistematicamente e annosamente le regole è proprio l’autorità statale - che stipa i detenuti in celle nel 35% degli istituti prive dei 3 mq. minimi calpestabili a persona, che lascia senza assistenza i 9 detenuti che ogni 100 hanno una diagnosi psichiatrica grave, e che ha fatto arrivare questa estate dopo 26 anni l’acqua corrente nel carcere di Santa Maria Capua a Vetere - verrebbe quasi curiosità di retroproiettare questa futuribile norma sulle decine di migliaia di detenuti che anni fa con lo “sciopero del carrello” raccolsero l’invito dei radicali alla resistenza passiva del “satyaagraha” per le carceri. Fermezza (agraha) nella verità (satya).