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di Franco Venturini

Corriere della Sera, 7 marzo 2022

Una terza guerra mondiale, verosimilmente non nucleare ma combattuta come sempre in Europa, è ogni giorno meno distante dalla guerra in Ucraina.

Quanto è lontana la terza guerra mondiale dalla guerra in Ucraina? Il presidente americano Joe Biden dice che proprio per evitarla ha rinunciato a difendere militarmente Kiev e si è affidato alle sanzioni per punire il presidente Vladimir Putin, ma siamo sicuri che si tratti di una strategia efficace? Non sono, queste, domande volte a terrorizzare, demagogiche o provocatrici. Perché in realtà la terza guerra mondiale, verosimilmente non nucleare ma combattuta come sempre in Europa, è ogni giorno meno distante dalla guerra in Ucraina.

Da quella guerra che invade le nostre coscienze, che ci assale con le immagini dei morti e dei profughi, soprattutto dei bambini. Sappiamo al di là ogni dubbio e di ogni propaganda che in questa come in quasi tutte le guerre c’è un aggressore e un aggredito, che il colpevole si chiama Vladimir Putin e che Vladimir Putin rischia di perdere la sua guerra se l’orgogliosa difesa degli ucraini continuerà a essere sostenuta dal rigetto corale che in ogni parte del mondo (o quasi) condanna il Cremlino e l’invasione.

Sappiamo tutto questo, ma tendiamo a non guardare in faccia il pericolo maggiore, il male assoluto e devastante di una guerra totale e molto più estesa che a pieno e tragico titolo potrebbe essere definita la terza guerra mondiale. I segnali e i pericoli stanno raggiungendo il livello di guardia, anche da parte di chi, come il presidente ucraino Zelensky, ha meritato ampiamente il nostro sostegno e la nostra fiducia. Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che di sicuro non ha simpatie verso Putin e le sue imprese, ha dovuto respingere con molta fermezza (e lo stesso ha poi fatto Biden) la richiesta di Zelensky di creare sopra l’Ucraina una no-fly zone pattugliata dagli aerei occidentali. E se incontravano gli aerei russi? Semplice, li buttano giù, ha detto protestando Zelensky. Ma allora l’eroe di Kiev, al punto in cui siamo, concepisce anche uno scontro Nato-Russia che diventerebbe irreversibile e infiammerebbe tutta l’Europa? È un campanello d’allarme.

E poi, con l’intensificarsi della guerra crescono anche le probabilità di “incidenti” magari non voluti ma dalle fatali conseguenze. Da anni i caccia russi e quelli Nato giocano al gatto e al topo, si sfiorano, si inseguono, ma non hanno sotto una guerra in corso, nessuno spara. Nel contesto odierno, con una strage in corso, varranno le stesse regole, per esempio nei cieli sopra le Repubbliche baltiche? Non basta. I russi in Ucraina fanno grande uso di razzi e di missili, oltre alle cannonate. La guerra non si è ancora avvicinata a Lviv, ma se un ordigno di qualsiasi tipo sbagliasse bersaglio (lo fanno persino i missili “intelligenti”) e finisse in territorio polacco, cioè in territorio Nato, l’Alleanza a norma del celebre Articolo 5 dovrebbe intervenire contro i russi oppure distruggere la credibilità del suo principale deterrente.

Potremmo continuare, ma è già chiara l’urgenza di un gesto di coraggio da parte dell’Occidente. Che non sarebbe di fare la guerra alla Russia, bensì di prevenirla. Serve infatti molto coraggio per immaginare un negoziato con Vladimir Putin, con l’aggressore dell’Ucraina che fa sparare sui civili e su una centrale nucleare. Si deve correre il rischio di essere paragonati a Chamberlain e a Daladier, alle ingenue viltà di Monaco ‘38, ma quella sciagurata conferenza aprì le porte alla Seconda guerra mondiale, mentre ora si tratta di impedire la Terza che incombe su di noi.

Parlare con Putin è diventato urgente. Certo servirebbe un previo cessate il fuoco, ma come minimo l’Occidente dovrebbe fargli sapere subito che se ci sarà vera tregua esiste la disponibilità a un negoziato non privo di linee rosse (come la sovranità statuale dell’Ucraina) ma pronto a tenere presenti anche le preoccupazioni di sicurezza della Russia. Un negoziato che faccia tacere le armi e discuta il futuro assetto geopolitico dell’Ucraina (con gli ucraini presenti). Partendo dall’idea che la priorità assoluta, oggi, è evitare la guerra totale e senza più confini anche nel caso che Usa e Russia escludessero, per sopravvivere, il ricorso ad armi nucleari.

Chi può mediare, chi può parlare con il Nemico numero uno? La neo-pensionata Merkel che molti evocano, la Turchia amica della Russia che vende droni all’Ucraina, l’israeliano Naftali Bennett che ha appena visto Putin, Zelensky e Scholz, l’Onu, Macron benché debba pensare a essere rieletto, la Cina che non vuole pagare il prezzo delle sanzioni, l’Unione europea come avevamo ipotizzato su queste colonne (l’Ucraina nella Ue senza la Nato) malgrado le resistenze proprio di alcuni Paesi europei? Il “chi” conta relativamente poco. Conta, è ovvio, che Putin accetti, che non voglia finire il suo sporco lavoro prima di discutere, conta che la ricerca della pace prevalga su quella psicologia che si colloca già in un clima di guerra quando giudica inopportuno un corso universitario su Dostoevskij. La Russia che rischia di perdere in Ucraina non va umiliata, va battuta con una pace degna. Sapendo che dovremo comunque affrontare il ritorno della guerra fredda in Europa, e che il costo sarà molto alto anche per noi, non soltanto in termini di spese per la difesa o di più difficili rifornimenti energetici. Ma anche la vecchia guerra fredda aveva le sue regole, e per questo non diventò mai calda.