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di Mauro Palma

La Stampa, 23 aprile 2024

Sta diventando un brutto film troppe volte visto: un’inchiesta di maltrattamenti gravi in un Istituto di detenzione da parte di chi ha in custodia le persone che vi sono ristrette. La custodia è però soltanto parte di un compito ben più complesso perché include la tutela dei loro diritti e il contributo al loro positivo reintegro nella società esterna. Proprio per questo, infatti, ormai trent’anni fa è cambiato anche il nome: non più “agenti di custodia” ma appartenenti al “Corpo di Polizia penitenziaria”.

Dunque, è nel contesto di questo complesso compito che si collocano tali comportamenti, certamente da accertare, ma la cui sussistenza non è però vaga perché ha determinato l’emissione di provvedimenti restrittivi e di sospensione dal servizio. Questa volta c’è un elemento ancor più inquietante perché di stratta di personale che operava - gli eventi sono della fine del 2022 - in un Istituto minorile, quello di Milano. Un ambito in cui la funzione quotidianamente esercitata dovrebbe avere maggiore incisività educativa, con un surplus di attenzione ai bisogni dello sviluppo della personalità o di reindirizzo di quei tratti di personalità negativamente espressa, che l’età dei destinatari obbliga ad avere. Richiede anche una formazione specifica e una stretta attenzione a come il ruolo, doveroso, del controllo dell’ordine venga esercitato, senza debordare in sottovalutazioni, omissioni, acquiescenza a culture della sopraffazione o addirittura in violenza. Gli episodi di Milano riportati a suo tempo a chi esercita un ruolo di garanzia e tutela e trasmessi alla Procura per il doveroso accertamento ci proiettano invece in un film dell’orrore e della sopraffazione, tale da aver fatto sperare, a suo tempo, che l’indagine potesse portare a non confermare quanto era stato riportato. Non è stato così: lo attesta l’emissione una settimana fa da parte del Giudice per l’indagine preliminare degli ordini di custodia cautelare in carcere per 13 poliziotti penitenziari e della misura della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio ricoperto per altri 8, rigettando la misura solo per 5: un totale che coinvolge ben più di un terzo del complessivo numero di poliziotti di quell’Istituto. Le centoventi pagine dell’ordinanza sono un grave colpo per chi ha a cuore la qualità democratica delle nostre istituzioni, per l’odiosità dei comportamenti contestati, per la loro qualifica penale che include il reato di tortura, oltre alla violenza, alle lesioni aggravate, al falso nelle attestazioni, fino, in un caso, alla tentata violenza sessuale. Un quadro sconcertante: un film però non nuovo.

È doveroso attendere l’esito del percorso che la giustizia ha avviato: questa non è una mera affermazione formale. Ogni persona che ha a cuore il rispetto dell’ordinamento democratico lo sa e non c’è bisogno di alcun richiamo in tale direzione. Perché anche quest’ultimo aspetto fa parte di un film già visto: qualche organizzazione sindacale di categoria che corre a dichiarare per l’ennesima volta che il Corpo in quanto tale è sano e che se le responsabilità saranno definitivamente accertate, si prenderanno provvedimenti. No, non c’è bisogno: nessuno addebita alcunché al Corpo nel suo complesso, ma la capacità di sviluppare un dibattito serio sulle culture soggiacenti a certi comportamenti che ancora si annidano in talune sue parti minoritarie non sembra sia cresciuta anche dopo precedenti accertate situazioni di analoga gravità. Non solo, ma troppo spesso è calata una sottovalutazione implicita. Questo film ormai ha stancato e non si è disposti a vederne alcuna replica.