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di Chiara Saraceno

La Stampa, 5 settembre 2023

Il lavoro sta (ri)emergendo come grande questione sociale. Non si tratta solo e neppure principalmente del fenomeno delle cosiddette “grandi dimissioni” e del cambiamento nelle aspettative rispetto al lavoro, in termini di equilibrio con altri aspetti della vita, oltre che di riconoscimento di sé e delle proprie capacità che queste segnalano. A preoccupare sono aspetti ancora più basilari: il lavoro che non sempre c’è, o è accessibile (ad esempio alle donne con responsabilità familiari in assenza di servizi adeguati), o per il quale non si ha adeguata formazione; il lavoro remunerato troppo poco, o troppo precario e discontinuo, spesso anche privo dei requisiti minimi di sicurezza.

La tragedia di Brandizzo, e lo stillicidio quotidiano (tre in media al giorno) di morti sul lavoro, che solo raramente diventano notizia, hanno messo in luce ancora una volta questo lato oscuro del lavoro manuale, troppo spesso non adeguatamente accompagnato da misure (tecnologiche, di preparazione, di ritmi di lavoro, di assunzione di responsabilità lungo la catena di comando (che proteggano dai rischi. Ciò che è successo a Brandizzo, accanto alle responsabilità dei singoli e di modelli organizzativi e contrattuali basati più sul fare in fretta che sul rispetto dell’integrità dei lavoratori, fa emergere anche un altro aspetto: mentre ci si preoccupa, giustamente, della possibile distruzione di occupazione da parte dell’intelligenza artificiale, non la si utilizza appieno per rafforzare la sicurezza sul lavoro, incluso contrastare l’errore (o azzardo) umano. Verrebbe da dire che aver dotato solo una piccola parte delle linee ferroviarie dei sistemi che consentono il blocco automatico di un treno quando c’è un ostacolo sui binari è analogo, su scala ben più grande, al togliere il sistema di sicurezza di un telaio che impedirebbe a questo di inghiottire chi ci lavora, anche se attua una manovra sbagliata. In entrambi i casi, si dimostra indifferenza, se non sprezzo del lavoratore/lavoratrice, della sua integrità, della sua vita. Una indifferenza che riguarda soprattutto il lavoro manuale (in fabbrica, nelle ferrovie, nei cantieri edili, in agricoltura. Un lavoro non destinato a sparire, a differenza di altri, a seguito dello sviluppo tecnologico, ma che da questo sviluppo dovrebbe derivare benefici non solo per quanto riguarda la faticosità, ma anche la sicurezza.

Se la questione della sicurezza dovrebbe diventare centrale nelle politiche del lavoro, nelle contrattazioni sindacali, nella formazione professionale, nella predisposizione degli strumenti di controllo, anche quella salariale non è da meno. Riguarda non solo la necessità di definizione di un salario minimo, su cui sembra concentrata gran parte dell’attenzione e del dibattito, anche a sinistra. Un problema certo importante, stante che, come ha rilevato da ultimo anche un rapporto di Ambrosetti sul Global attractiveness index, l’Italia è “l’unico tra i grandi paesi europei dove i salari sono più bassi rispetto a trent’anni fa”, ma che non esaurisce la problematica del lavoro e lavoratori poveri. I bassi redditi da lavoro dipendono anche dalla difficoltà ad avere un salario “intero”, quindi dalla costrizione a part time involontario e/o a rapporti di lavoro sempre temporanei, quando a non rinunciare al lavoro per difficoltà a conciliarlo con le esigenze familiari.

Anche sul fronte dell’occupazione la situazione appare problematica, nonostante i dati del secondo trimestre sulle forze di lavoro mostrino un miglioramento rispetto all’anno precedente, con un 1,6 per cento di occupati in più e una diminuzione delle persone in cerca di lavoro e inattive. Tuttavia il tasso di occupazione, specie delle donne e dei giovani di entrambi i sessi continua ad essere comparativamente basso, soprattutto tra i meno istruiti e nel Mezzogiorno, con effetti a catena su altri aspetti della vita individuale e sociale (dalla formazione di una famiglia, all’autonomia, ai consumi, alla partecipazione civile. Inoltre la situazione appare instabile, stante che nel mese di luglio, dopo sette mesi di crescita, c’è stata invece una diminuzione degli occupati, che ha riguardato proprio coloro che sono nelle età centrali, tra i 25 e i 49 anni. E le previsioni per l’autunno non sono rosee, con il PNRR che, a causa di rinvii, cancellazioni, incertezze, stenta a diventare quel volano per l’economia e l’occupazione che avrebbe dovuto essere.

A fronte di questi dati, l’eliminazione del sostegno economico a molti (ormai ex) beneficiari del RdC, per sollecitarli a trovarsi una occupazione rischia di affollare ulteriormente l’area dei disoccupati privi di sostegno e dei lavoratori poveri esposti ad ogni ricatto. Tanto più che una buona parte di costoro non avrà neppure diritto al misero Sostegno formazione Lavoro e ai servizi a questo connessi.