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di Angelo Senderi

L’Unità, 3 dicembre 2023

Quando tutto diventa pretesto per inventare nuovi reati. Ho come l’impressione che tutto sembra scorrere verso un’idea confusa di sicurezza sociale che, lungi dall’essere realmente perseguita attraverso strutturali riforme interdisciplinari, si riduce a realizzarsi fittiziamente attraverso sempre più nuove e creative norme di rilievo penalistico. Dopo aver assistito all’uso smodato della decretazione d’urgenza per l’introduzione di nuove, quanto inutili, fattispecie incriminatrici, è notizia di qualche giorno fa che il C.d.M. abbia approvato un nuovo disegno di legge che introduce nuove norme in materia di sicurezza pubblica.

Ed ecco, quindi, che l’endemico problema della carenza di abitazioni da adibire alle famiglie bisognose e il problema dell’edilizia popolare da riqualificare nelle zone più difficili del nostro Paese, vengono presi a pretesto dal Governo per introdurre una nuova figura di reato, quale “l’occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”, che altro non sarebbe se non l’ancora vigente nonna di cui all’art. 633 c.p. con pene però quasi raddoppiate nella forbice edittale, con ogni conseguenza anche in ordine all’esecuzione dell’eventuale condanna che vedrebbe il prevenuto impossibilitato ad avvalersi delle misure alternative alla detenzione.

Più carcere, quindi, senza possibilità alcuna da parte del detenuto “scomodo” di protestare contro il degradante trattamento carcerario che, a causa del sovraffollamento penitenziario ingenerato da anni di visione carcero-centrica della pena, gli verrà riservato. Viene, infatti, previsto un cospicuo aggravamento di pena per il “delitto di istigazione a disobbedire alle leggi” se lo stesso viene commesso al fine di far realizzare una rivolta all’interno del carcere, giacché spazi per la socializzazione non ve ne sono e, quindi, guai a chi protesta o pensa di farlo; e che importa se le proteste sono legittime a causa delle condizioni disumane nelle quali sono costretti a vivere i detenuti!

Ma la sottile linea che divide la sicurezza dall’autoritarismo sembra assottigliarsi laddove si fa riferimento a un’ulteriore figura di reato, questa sì solo di matrice autoritaria e slegata da ogni esigenza di sicurezza, quale la previsione della reclusione da uno a sei anni per lo straniero che durante il trattenimento amministrativo presso i CPR (quindi, rivolta a soggetti già privati ingiustamente della libertà) osa opporre resistenza, anche passiva (!!) agli ordini impartiti dall’autorità.

Si arriva a punire, per ben due volte, chi in posizione di minorata difesa e di privazione ingiusta della propria libertà, si opporrebbe anche passivamente ai comandi imposti dall’Autorità. Per dare al cittadino l’illusoria idea di sicurezza, inoltre, non solo si è deciso di punire più severamente i “rivoltosi” in vinculis, ma si è previsto, finanche, di modificare uno degli ultimi baluardi di legalità e di dignità che nessuno aveva mai inteso scalfire negli anni, come il rinvio dell’esecuzione della pena per donne incinte e madri di bambini fino ad un anno di età. In forza dell’autoritarismo, quindi, vedremo sempre più mamme e bambini fino ad un anno scontare la loro pena in carcere anche in considerazione del fatto che, al momento, non sembrano essere funzionanti gli istituti a custodia attenuata per le detenute madri.

La patologica bulimia in materia di introduzione di nuove fattispecie penali continua a non trovare limiti, laddove le stesse vengono previste, come nel caso dei cosiddetti divieti di “blocchi stradali” al solo fine di punire con pene rigorose i numerosi, ma non troppo, manifestanti, per di più giovanissimi e quasi mai violenti, che protestano per la tutela ambientale. Non bastavano i reati già previsti dal nostro codice per punire eventuali trasgressioni dei manifestanti rispetto ai limiti della protesta civile?

No, secondo questo Governo sembrerebbe di no; ogni singola fattispecie sembra debba trovare, per forza, una norma penale che la limiti e che la punisca fino a rendere l’ideale di sicurezza sociale come l’unico fine a cospetto del quale dover sacrificare gli inviolabili diritti conquistati nel tempo. Siamo sicuri che la sicurezza dei cittadini possa essere legittimamente tutelata da norme dal chiaro timbro autoritario?

Può bastare qualche biasimevole borseggio nelle metropolitane urbane a giustificare misure repressive così autoritarie? Si può risolvere il conflitto abitativo delle grandi città con norme che, lungi dal favorire l’inclusione dei più deboli, esasperano il futuro degli stessi con pene elevatissime? C’è ancora proporzionalità, tra gli interessi perseguiti dalla collettività e le misure repressive adottate dallo Stato?

Ho il fondato timore che, nonostante tutto, incidendo solo sul piano repressivo e non su quello politico e sociale, si aggroviglierà la sottile linea tra sicurezza ed autoritarismo, sì da divenire un soffocante cappio al collo che opprimerà irrimediabilmente, il nostro Stato di diritto.