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di Liana Milella

La Repubblica, 24 ottobre 2023

Luciano Violante è stato presidente della Camera e anche magistrato e ha fatto tre anni di volontariato in prigioni di Bari e Trani: “Mi hanno sempre colpito la sofferenza dei detenuti e il malessere del personale, spesso esposto a rischi gravi”

Da giovane magistrato lei, Luciano Violante, promise che avrebbe fatto l’esperienza di stare in carcere per capire che significa viverci. Ha mantenuto la promessa?

“Sì, prima di vestire la toga ho fatto tre anni di volontariato in carcere a Bari e a Trani. Poi da magistrato ho discusso spesso con colleghi che a cuor leggero proponevano quattro anni di pena. Io chiedevo “di che cosa”!? Puoi scontarli in un carcere vecchio, sporco e fatiscente o in un carcere ben diretto e pulito; sono due pene diverse”.

Che ha portato con sé da quelle visite?

“La sofferenza dei detenuti e il malessere del personale, spesso esposto a rischi gravi”.

C’è una storia che ricorda tuttora?

“Quella di un truffatore con anni di galera sulle spalle per via del sommarsi delle condanne. Era disperato perché non avrebbe potuto mantenere la figlia in collegio. La figlia pensava che il padre facesse il rappresentante. Con alcuni amici mobilitammo un gruppo di industriali e di famiglie abbienti. Raccogliemmo una somma consistente, e seppi poi che lei si era laureata. Quando ero presidente della Camera la incontrai nella veste di preside di una facoltà scientifica”.

Da allora cos’è cambiato?

“Dipende da carcere a carcere perché ognuno è una realtà a sé”.

Le prigioni non sono hotel a 5 stelle, e a delitto grave deve corrispondere una severa detenzione...

“Nel XXI secolo il carcere non può più essere la regina delle pene. Per le piccole infrazioni basterebbe pensare a lavori di pubblica utilità, alla sospensione della patente nei fine settimana. Per i delitti gravi purtroppo c’è solo il carcere”.

I condannati sotto i 4 anni possono star fuori?

“La pena lacera, non ricuce. Caso per caso si può pensare a sanzioni da scontare, almeno in parte, in libertà”.

Mamme e figli dentro. Se ne parla da anni…

“Questa è davvero una vergogna. Ma la condizione della donna anche in carcere è diversa. Dopo un po’ nessuno va a trovarla. Le mogli vanno dal marito. I mariti non vanno dalle mogli. Le donne in carcere sono più sole”.

In cella la dignità va garantita?

“Se non rispetti il detenuto, il detenuto non rispetta te”.

Spazi decenti, l’ora d’aria...

“La cosa più importante è il lavoro. Impararne uno, e farlo bene, conferisce dignità. Pochi anni fa un detenuto sardo condannato all’ergastolo ha tirato fuori dalla tasca la ricevuta dello stipendio e mi ha detto: “Questa è la mia dignità; non me l’ha data la vita, me la ha data il carcere”.

I suicidi, 39 quest’anno, dicono che il carcere è inumano...

“In cella avvengono a volte violenze e discriminazioni innominabili”.