sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Giuseppe Gargani

Il Dubbio, 4 aprile 2024

La leale collaborazione istituzionale, indispensabile proprio per rendere valida la divisione dei poteri, non può “imporre” al Parlamento le decisioni. In un periodo di animate discussioni sulle riforme costituzionali e sulle riforme dell’ordinamento giudiziario è necessario far riferimento costante al tema della separazione dei poteri e dei pesi e contrappesi che costituiscono l’ossatura della nostra Costituzione. Le leggi costituzionali configurano un sistema di valori nei quali si debbono riconoscere tutti: costituiscono un patto tra lo Stato e i cittadini che ha un fondamento nella cultura e nella storia dei diritti, e interpretano le nuove esigenze della società. Per modificare una Costituzione occorre una grande spinta morale e culturale idonea ad individuare cosa deve essere l’Italia di domani.

I costituenti nel 1948 delinearono un sistema che ha consolidato la democrazia e ha consentito all’Italia di superare le grandi difficoltà e le tragedie di questi anni dove la divisione dei poteri ha protetto le stesse istituzioni. Il richiamo a questo supremo principio è formale in omaggio a un teorico come Montesquieu che voleva assegnare un metodo alla democrazia, ma è vitale per evitare che ci sia una confusione, come purtroppo constatiamo in questo periodo, tra le funzioni e i compiti che le istituzioni hanno.

I ruoli del Parlamento, del Governo, della Presidenza della Repubblica, della Corte Costituzionale e del Consiglio superiore della Magistratura sono delineati in maniera significativa rispetto ai compiti istituzionali e sono funzionali per caratterizzare i limiti che ogni potere deve avere per evitare la prevalenza dell’uno sull’altro.

Si parla tanto di uno squilibrio tra la politica e la magistratura ma non possiamo non essere allarmati per lo squilibrio tra il Parlamento e il governo che prevale per un numero insopportabile di decreti legge che mortifica la funzione legislativa del Parlamento. È la crisi del Parlamento che altera tutti gli equilibri e rischia di essere ancor più delegittimato con la proposta del premierato. Ma su questo abbiamo tempo per approfondire. Questa funzione affievolita del Parlamento, che è problema non solo italiano, è causa di squilibrio con la Corte Costituzionale e con la magistratura.

La Corte Costituzionale, che ha la funzione suprema di valutare le leggi al lume delle norme costituzionali, da un po’ di tempo, prendendo atto della mancanza di iniziativa del Parlamento, ritiene di sostituirsi per risolvere problemi certamente complessi ma che sono materia legislativa non delegabile. È vero che il Parlamento non è in grado di risolvere il problema dell’ergastolo ostativo, del suicidio assistito e più in generale, per fare gli esempi più vistosi, del “fine vita”, perché non è più espressione di culture politiche adeguate; ma la leale collaborazione istituzionale, indispensabile proprio per rendere valida la divisione dei poteri, non può “imporre” al Parlamento le decisioni, ma deve appunto dare indicazioni e, come ha sempre fatto, stabilire precisi binari lungo i quali la legislazione deve procedere. È il Parlamento che deve essere in grado di dare prontamente risposte e sentire la responsabilità di non lasciare nessun vuoto legislativo che incida sulle libertà del cittadino evitando polemiche o prese di posizioni che sono in contrasto con la necessaria armonia istituzionale.

La prevalenza del giudiziario sul legislativo è cosa nota da alcuni anni ed è un vulnus al sistema delle libertà del cittadino garantite dalla divisione dei poteri. La magistratura si oppone a qualunque riforma e si ribella in maniera plateale a iniziative anche minori che il Parlamento dovrebbe adottare nell’interesse dei cittadini e non della “categoria”. Vi sono riforme indispensabili da adottare per riconoscere il ruolo diverso che il giudice ha acquisito per evitare la prevalenza del giudiziario e personalmente non ritengo fondamentale l’introduzione dei test psicoattitudinali, ma la reazione dell’Associazione e per essa in prevalenza dei pubblici ministeri (soprattutto quelli in pensione) è eccessiva e non rispettosa del potere legislativo. Come fa la magistratura a non rendersi conto che la esposizione politica e la opposizione ad ogni riforma anche modesta accentua l’autonomia che diventa separatezza istituzionale, ma attenua l’indipendenza.

Se dunque il potere giudiziario in concreto prevale sul potere legislativo, il Parlamento deve interrogarsi sulle ragioni per cui oggi la politicizzazione della magistratura è una anomalia che rende instabile l’equilibrio democratico ma al tempo stesso è un’ipocrisia perché anche all’interno della magistratura si patiscono le conseguenze negative di questa sovraesposizione.

Il Parlamento al tempo stesso deve fare un esame di coscienza sulle leggi, sulle decisioni che hanno consentito queste deviazioni. Una serie di leggi hanno accentuato “l’autonomia” della magistratura anche nella sua organizzazione interna a scapito della indipendenza, che è il valore primario sul piano costituzionale, prezioso per l’equilibrio dei poteri, e hanno accentuato la sua separatezza. Si tratta di problemi complessi che incidono sulla vita delle istituzioni, di qui la urgente necessità di ricercare un raccordo tra le istituzioni democratiche che solo il Parlamento nella sua sovranità può determinare. È arrivato il momento di affrontare queste due questioni che sono fondamentali e pregiudiziali per porre rimedio ad una crisi che altera equilibri preziosi per la consistenza della democrazia e per il corretto funzionamento delle istituzioni.