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di Rocco Vazzana

Il Dubbio, 22 dicembre 2023

Il nuovo Patto europeo sull’immigrazione introduce regole più severe ma di difficile attuazione. Il governo esulta: il nuovo Patto europeo su migrazione e asilo è un “grande successo”. E a fermarsi ai titoli dei temi concordati con Bruxelles, la destra italiana avrebbe tutte le sue ragioni storiche per accogliere con entusiasmo il nuovo Patto figlio dell’intesa raggiunta tra Consiglio, Commissione e Parlamento Ue: più controlli, ripartizione tra Paesi, procedure d’espulsione accelerate. Una sorta di decreto Cutro europeo. Ma a guardare nel dettaglio dei provvedimenti proposti sembra che le cose non stiano esattamente così e che Giorgia Meloni abbia ben poco da esultare, se non per un oggettivo spostamento ideale a destra dell’Europa.

Andiamo con ordine. Al momento il Patto è di natura squisitamente politica, non è ancora operativo. Per renderlo tale, andranno modificate entro la fine di questa legislatura a Bruxelles una serie di direttive e regolamenti (tra cui Dublino) che richiederanno comunque del tempo. In ogni caso, le nuove regole prevedono: controlli più severi sui migranti che arrivano nell’Unione europea, centri vicino alle frontiere per rimandare indietro più rapidamente chi non ha diritto all’asilo e un meccanismo di solidarietà obbligatorio tra i Paesi Ue per aiutare quelli sottoposti a una maggiore pressione migratoria. E già qui arrivano, potenzialmente, i primi problemi per l’Italia. Perché i profughi arrivati sulle nostre coste dovranno essere identificati entro sette giorni in appositi centri, dove, dall’età di sei anni in su, verranno sottoposti anche a controlli di salute e di sicurezza. I dati biometrici (a partire dai volti e dalle impronte digitali) verranno raccolti nella banca dati Ue Eurodac. Tradotto: se un migrante, divenuto nel frattempo clandestino, dovesse varcare i confini italiani sarebbe ancora più semplice, per le autorità di altri Paesi, rispedirlo nel Paese di primo approdo certificato sulla banca dati. Perché il nuovo Patto, al momento, non incide minimamente sui principi stabiliti da Dublino secondo cui è il Paese di primo ingresso ad avere a competenza esclusiva per l’esame di una domanda di protezione internazionale. Un paradosso per la retorica sovranista.

Viene introdotto anche un principio di “solidarietà obbligatoria”, con una quota standard di 30mila ricollocamenti l’anno. Ma gli Stati membri non saranno davvero obbligati ad accogliere, potranno contribuire con misure finanziare (20 mila euro a migrante) o altre misure alla gestione dei flussi. Sempre che questi Paesi non siano Ungheria e Polonia, intenzionate a non contribuire in alcun modo alla gestione dei flussi. Il contributo economico può comunque anche essere destinato a finanziare misure relative alla gestione dei flussi migratori nei Paesi extra- europei. Il Patto stabilisce anche nuove regole per effettuare le domande di asilo nell’Ue. Alcune persone saranno sottoposte alla procedura tradizionale, altre a una procedura “accelerata” di frontiera detta border procedure.

Per questi ultimi la valutazione della richiesta durerà al massimo tre mesi durante i quali il richiedente non sarà considerato giuridicamente all’interno dei confini nazionali. Questo tipo di procedura “semplificata” sarà riservata a chi mente alle autorità, a chi è ritenuto pericoloso e a tutti coloro che provengono da Paesi ai cui cittadini non viene di solito concesso l’asilo, cioè con un tasso di riconoscimento inferiore al 20 per cento. Come se la richiesta d’asilo non fosse un atto individuale ma “collettivo”, concedibile su base “etnica”. E in ogni caso, senza accordi bilaterali certi con i Paesi di provenienza per eventuali rimpatri, ogni ragionamento sulle espulsioni rischia di rimanere lettera morta, anche se utile per la propaganda.

“Qualunque persona dovrebbe avere la possibilità, anche attraverso canali regolari, di raggiungere la frontiera, di non essere criminalizzata per aver utilizzato canali irregolari e di presentare domanda di asilo”, spiega Fulvio Vassallo Paleologo, giurista esperto di diritti umani e diritto di asilo. “La Convenzione di Ginevra, inoltre, non conosce la categoria dei Paesi terzi sicuri”, previsti per i rimpatri dal nuovo Patto.

Le nuove procedure di identificazione “possono ridurre al minimo le garanzie e impedire quindi che la manifestazione di volontà verso la richiesta di protezione poi si concretizzi con un procedimento equo e imparziale di attribuzione dello status di rifugiato”, argomenta Vassallo Paleologo. Non solo, la prospettiva di esternalizzare in parte le procedure d’asilo, così come le pratiche di detenzione amministrativa - come vorrebbe fare l’Italia con l’Albania - sono destinate “a fallire”, sostiene il giurista, così come si può già considerare fallito l’accordo già stipulato con la Tunisia. “Nessun Paese terzo - aggiunge - sembra disponibile a riprendersi i migranti, soprattutto se sono cittadini di altri Stati”.

Perché tra le novità c’è che anche a livello europeo vengono individuati i “Paesi terzi sicuri” verso cui potrebbero essere rimpatriati i migranti. “È un concetto molto pericoloso”, dice ancora Vassallo Paleologo, “e tra l’altro su questo punto c’è anche uno scontro con la magistratura che in numerose occasioni, in particolare il Tribunale di Firenze, ha riconosciuto ad alcuni cittadini il diritto a non essere ricondotte in Tunisia in quanto richiedenti asilo”. Insomma, la vittoria italiana, per ora, è solo teorica. Ma è già buona per la campagna elettorale.