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di Davide Varì

Il Dubbio, 4 gennaio 2023

Donatella era in carcere per un paio di furti. Poca roba, in realtà: qualche centinaio d’euro per comprare eroina. Donatella non era una criminale, era una tossica che rubava per assecondare la sua dipendenza. La verità, dunque, è che avrebbe dovuto alloggiare in una comunità di recupero e non in una prigione.

Donatella si è uccisa quattro mesi fa. Era nella sua cella del carcere di Verona e ha inalato la bomboletta di gas del fornelletto. Lo fanno molti detenuti: è il modo più rapido, indolore ed economico per uccidersi. Quei giorni anche il giudice di sorveglianza chiese scusa: “Se in carcere muore una ragazza di 27 anni così come è morta Donatella, significa che tutto il sistema ha fallito. E io ho fallito, sicuramente”, scrisse il dottor Vincenzo Semeraro. Un’amica di Donatella lesse quelle parole il giorno del suo funerale. Le lesse tutte d’un fiato e in chiesa piombò il silenzio.

Prima di uccidersi, Donatella scrisse una lettera al fidanzato. Stavolta era lei che chiedeva scusa: “Perdonami, caro Leo - diceva -, sei la cosa più bella che mi poteva accadere e per la prima volta in vita mia penso e so cosa vuol dire amare qualcuno, ma ho paura di tutto, di perderti e non lo sopporterei. Perdonami amore mio, sii forte, ti amo e scusami...”. Poi il silenzio.

Ma oggi, a distanza di mesi, la voce di Donatella torna a parlare, a urlare. Lo fa attraverso un’altra lettera che era andata perduta ma che l’ostinazione amorevole di suo padre ha salvato dall’oblio. Donatella, pensate, non scrisse né a giudici né ad avvocati. La sua richiesta d’aiuto volle inviarla a Maria De Filippi: “Maria ti prego, ti chiedo di aiutarmi, voglio uscire fuori da tutta questa situazione, voglio smettere con la droga, voglio finire con il carcere, ma ho bisogno di qualcuno che mi dia una possibilità... Ho 26 anni, ho ancora una vita davanti, voglio sistemarmi, avere un futuro, riprendere i rapporti con la mia meravigliosa famiglia... Oggi ho la voglia, il coraggio di voler cambiare, voglio ricominciare e lasciarmi tutto alle spalle, ho bisogno di un aiuto, di trovare un lavoro... voglio vedere gli occhi di mia madre piangere nel vedermi realizzata e non perché sta soffrendo per colpa mia...”.

Ma quella lettera non è mai arrivata a Maria De Filippi. La sua supplica, la speranza di poter avere una seconda possibilità è caduta nel vuoto. Lo stesso vuoto nel quale si è persa irrimediabilmente. Tutto questo accade nei giorni in cui 700 “semiliberi”, rientrano in galera dopo la fine delle misure anti Covid. Nonostante gli sforzi per ricominciare una nuova vita e i comportamenti esemplari, lo Stato ha infatti deciso di rinchiuderli di nuovo in cella.

Questo accade perché, in spregio al fine rieducativo della pena, alcune esistenze sono considerate semplicemente irredimibili. Servirebbe l’afflato e la consapevolezza di un Cardinal Martini, il quale ripeteva: “La pena deve guardare sempre al futuro, è chiamata a svolgere una funzione pedagogica ed educativa ed è volta a sostenere un reale cambiamento della persona, anche di chi si fosse macchiato dei delitti più ripugnanti”. Ma così non è, e purtroppo ci ritroveremo ancora chissà quante Donatella alle quali dover chiedere scusa.