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di Tiziana Maiolo

Il Dubbio, 22 settembre 2023

E così abbiamo anche il nuovo reato di “omicidio nautico”. Unanimità di fatto della Camera (268 si, un contrario e due astenuti), dopo l’analogo voto del Senato nello scorso febbraio. È nato, a sette anni di distanza, il fratellino gemello dell’omicidio stradale. Oggi come allora, con grandi fanfare di opinione pubblica, raccolta di firme, e il Parlamento, incapace di una vera politica di prevenzione, pronto a stipare il codice penale fino all’inflazione per numero di reati. Che invece andrebbero sfoltiti. Eccola qui la nuova versione dell’articolo 589 bis: “Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o della navigazione marittima o interna è punito con la reclusione da due a sette anni”. Si estendono poi all’omicidio nautico le aggravanti già previste per il gemellino sugli incidenti stradali. Pena da otto a dodici anni, per esempio, per guida in stato di alterazione da alcol o sostanze psicotrope.

Ancora una volta ha prevalso l’emotività, e soprattutto l’incapacità di mettere in atto buona amministrazione e efficaci campagne di prevenzione, onde evitare, tra l’altro, di consegnare sempre nelle mani dei magistrati la soluzione di problemi sociali. Il governo Meloni, il ministro Nordio e anche l’intero Parlamento sono cascati nella trappola di legiferare sulla scia del fatto di cronaca che suscita emozione e indignazione, una combinazione micidiale. Come la tragica morte di Greta Nedrotti e Umberto Garzanella due anni fa nel golfo di Salò.

Per quel fatto sono stati già condannati in primo grado per omicidio colposo due turisti tedeschi, Christian Teissman e Patrich Kassen, rispettivamente a due anni e undici mesi e quattro anni e mezzo. Con la legge esistente, che prevede la pena massima di cinque anni. I due sono in attesa dell’appello, il prossimo 20 ottobre. In Parlamento si è detto che la nuova legge è dedicata alle due vittime di quel giorno. Il che non ha molto senso. Che cosa sarebbe cambiato, infatti, se quando è stato celebrato il primo grado di quel processo ci fosse già stata la nuova norma? Forse un aumento di pena? Sei mesi in più, un anno in più di carcere? E questo dovrebbe dare soddisfazione, nella funzione retributiva della pena? Ma non dovremmo invece aspettarci un intervento che abbia la capacità di dissuadere dalla commissione dei reati?

Siamo al cospetto di delitti colposi, e pensiamo che, salvo i casi di attentati terroristici, nessuno si metta al volante di un’auto o un motoscafo con l’intenzione di uccidere. Quello che si dovrebbe fare è intervenire sulle cause di questi incidenti. Le statistiche ci dicono che il primo e più diffuso motivo è quello della distrazione, per esempio per l’uso di smartphone. Il secondo è il mancato rispetto della precedenza e il terzo è la velocità. Poi ci sono le aggravanti, prima di tutto quella di essersi messi al volante dopo l’assunzione di alcol o di sostanze psicotrope. Sono violazioni che in parte possono riguardare anche le regole del mare. Secondo l’accusa i due cittadini tedeschi che investirono i due giovani sul lago Maggiore erano ubriachi, loro lo hanno sempre negato. Vedremo se sarà loro applicata comunque l’aggravante. Ma i fautori del nuovo reato sono sicuri del fatto che da domani ci sarà una corsa alla consultazione del codice penale per verificare le nuove pene previste prima di mettersi alla guida di qualunque imbarcazione?

Basterebbe guardare i dati sugli incidenti stradali degli ultimi anni, per constatare come la politica muscolare riduca i risultati a veri pugni di mosche. Prendiamo quel che ci dice l’Istat sugli ultimi numeri disponibili, quelli del 2021: 2.871 morti sulle strade (più 20% rispetto all’anno precedente), 204.728 feriti (più 28,6%) e complessivamente 151.875 incidenti stradali (più 28,4%). È vero che erano gli anni dell’epidemia da Covid e che c’è stato anche il lockdown. Ma è certo che non c’è stata l’attesa diminuzione degli incidenti e dei morti. Perché mai, ce

lo dicono le statistiche non solo italiane, l’aumento delle pene ha prodotto la diminuzione dei reati. Pare che, secondo i sondaggi svolti tra i più giovani, abbia spaventato maggiormente la riforma Lunardi sulla patente a punti che non la nuova norma penale. Perché si tratta di un intervento concreto, la perdita di punti, che non favoleggia di ipotesi future e astratte di carcere, ma di un danno immediato sulla possibilità di mettersi ancora al volante.

Così siamo di nuovo davanti a un provvedimento utile solo a far vedere che qualcosa si fa, che chi ci governa non è insensibile davanti al dolore di chi ha subito una disgrazia per responsabilità di altri. Un vecchio principio liberale dice che le regole e le norme dovrebbero essere poche, chiare e applicate. Il compianto professor Giandomenico Pisapia, docente di procedura penale all’Università statale di Milano, amava dire che in Inghilterra, se nevica, si prende lo spazzaneve, in Italia si fa una legge speciale. Lo diceva sessant’anni fa. E ora ci risiamo, siamo ancora fermi lì. Esiste qualche parlamentare, o qualche membro del governo, o magari lo stesso Nordio o la stessa Meloni, che vogliano riflettere un attimo su questo?