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di Donatella Stasio

La Stampa, 25 aprile 2023

I principi fondamentali affondano le radici nella cultura antifascista e vanno difesi e tenuti vivi. Lo spirito della Resistenza, sosteneva Calamandrei, è stato tradotto in formule giuridiche.

All’inizio del 1956 Piero Calamandrei comincia a collaborare come editorialista con La Stampa e nel mese di settembre, prima della sua morte improvvisa, anticipa al quotidiano l’invio di un pezzo intitolato Questa nostra Repubblica, che purtroppo, non riuscirà a concludere. Nel 1995, quel titolo diventa Questa nostra Costituzione per mano di Alessandro Galante Garrone, che con l’editore Bompiani ripubblica un famoso saggio di Calamandrei sulle origini antifasciste della Costituzione e sulle ragioni, politiche e storiche, che ne hanno ritardato l’attuazione. Questa nostra Costituzione è un titolo “tipicamente calamandreiano”, spiegava Galante Garrone, nel quale “sembra di sentir vibrare il sentimento di nostalgico affetto e insieme di pugnace volontà di difesa della Costituzione contro certe animosità o grossolane dimenticanze”. In questo senso è un titolo di grande attualità e lo vogliamo rilanciare oggi perché ci parla di un senso di appartenenza a una comunità di valori - rispetto della persona, dignità, solidarietà, non discriminazione, pluralismo - che nell’antifascismo affonda le sue radici - storiche, ideali, culturali -, che di quei valori si nutre ma che, per difenderli e vivificarli, ha bisogno di memoria, di impegno, di cura.

Avvocato, liberale e poi fondatore del Partito d’azione, padre costituente, Calamandrei ha sempre messo al centro del suo impegno politico la difesa della Costituzione e dell’eredità della Resistenza, che tra il 1948 e il 1955 vedeva minacciate da un processo di involuzione, rappresentato dalla mancata attuazione del dettato costituzionale e dal permanere della legislazione fascista, che imputava alla maggioranza politica dell’epoca, arrivando a dire che “di fronte alla Costituzione, i conservatori sono i veri sovversivi”. Non c’è bisogno di scomodare simbologie fasciste per cogliere dietro il dilagante “disfattismo costituzionale e il processo alla Resistenza” - due facce della stessa medaglia poiché “la Costituzione è lo spirito della Resistenza tradotto in formule giuridiche” - una caduta della coscienza civile, l’insensibilità democratica della classe dirigente e il desiderio di ritorno all’autoritarismo fascista.

Parole che ancora una volta ci riportano all’oggi, alla cultura della destra “conservatrice” impegnata a minimizzare, negare, cancellare dalla coscienza civile momenti, valori, parole fondanti di “questa nostra Costituzione”.

L’antifascismo non è un residuato bellico, sepolto insieme al fascismo, suo antagonista storico. “Il 25 aprile - spiegava Pietro Scoppola - è un punto di arrivo, come conclusione della guerra civile e liberazione del paese, ma è anche un punto di partenza per la ricostruzione democratica. In questo senso, l’antifascismo rimane come fondamento irrinunciabile della nostra Costituzione”. Lo vediamo declinato nell’affermazione dei valori della persona umana, della libertà e della solidarietà, valori che il fascismo aveva negato e calpestato. La Resistenza, ricordava Calamandrei, è stata “la riscoperta della dignità dell’uomo come persona e la sua rivendicazione ne rappresentava il momento più alto: rivendicazione della libertà dell’uomo, persona e non cosa”.

“Persona umana”, come ha detto, di recente, il presidente della Repubblica nel suo discorso ad Auschwitz sulle corresponsabilità del fascismo negli orrori del nazismo e sul dovere della memoria, perché “odio, pregiudizio, razzismo, estremismo, antisemitismo, indifferenza, delirio, volontà di potere sono in agguato, sfidando in permanenza la coscienza delle persone e dei popoli”.

Non c’è bisogno di marce su Roma o di analoghe simbologie per temere, e respingere con forza, ogni rigurgito di cultura fascista, che piega disinvoltamente i valori della nostra Costituzione; nega i diritti di minoranze e persone vulnerabili; impone visioni ideologiche, senza bilanciamenti; ostenta pregiudizi antisemiti; coltiva idee securitarie; mette a rischio cardini dello stato di diritto come l’indipendenza dei giudici. La Costituzione è nostra nella misura in cui tutti ci riconosciamo nella sua cultura antifascista senza timidezze, ipocrisie, furbizie.

Nel 1947 Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea costituente, firma la Costituzione vicino al presidente della Repubblica Enrico De Nicola

Indimenticabili le parole con cui Calamandrei incitava le giovani generazioni a esercitare la memoria per trasformare la Costituzione in realtà politica: “Se volete sapere dove è nata la Costituzione andate in pellegrinaggio col pensiero riconoscente in tutti i luoghi, di lotta e di dolore, dove i fratelli sono caduti per restituire a tutti i cittadini italiani dignità e libertà. Nelle montagne della guerra partigiana, nelle carceri dove furono torturati, nei campi di concentramento dove furono impiccati, nei deserti o nelle steppe dove caddero combattendo, ovunque un italiano ha sofferto e versato il suo sangue per colpa del fascismo, lì è nata la nostra Costituzione”. Non c’è retorica in queste parole, come talvolta si dice, ma autentica passione costituzionale che chiama ad un impegno attivo.

Nel 1956 qualcosa comincia a cambiare nell’immobilismo costituzionale. Il primo, decisivo, passo è la nascita in carne ed ossa della Corte costituzionale, la prima dell’Occidente. Su La Stampa Calamandrei scrive: “Soltanto ora si comincia a sentire che la Costituzione non crollerà”. Le sue aspettative sono alte. Alla Corte chiede di cancellare anzitutto le leggi fasciste rimaste in piedi per dieci anni, a cominciare dal famigerato articolo 113 del Testo unico di Pubblica sicurezza, che vietava di far circolare, senza autorizzazione, scritti o disegni, in palese violazione della libertà di manifestazione del pensiero sancita dalla nostra Costituzione. Nella prima udienza della Corte, Calamandrei sosterrà l’incostituzionalità della norma fascista, mentre la presidenza del Consiglio la difenderà.

Il 13 giugno, ecco la sentenza, la numero 1. La prima di una lunga serie di decisioni che hanno cambiato la vita di tutti noi e la qualità della nostra democrazia. La Corte dà ragione a Calamandrei e asfalta, di fatto, la legislazione fascista. Il 16 giugno, La Stampa apre il giornale con un fondo intitolato La Costituzione si è mossa. È pieno di speranza per il futuro.”Oggi la Corte ha fatto saltare solo la prima pietra, ma altre ne seguiranno. Si può dire senza enfasi che da questa sentenza comincia una nuova storia”, scrive Calamandrei.

Grazie alla Corte i cittadini possono finalmente cominciare ad affezionarsi alla loro Costituzione, sentirla viva, accorgersi che ogni suo articolo non è una formula teorica, ma può diventare senza scosse la realtà di domani; possono rendersi conto dei vantaggi di un regime veramente democratico, che offre al popolo lo strumento legalitario per rinnovare gradualmente la società senza sovvertirla e senza rinunciare alla libertà. Come la Corte Suprema degli Stati Uniti, anche la nostra Corte “sarà uno strumento di progresso e di trasformazione sociale secondo il programma della Costituzione”. Calamandrei ne è certo. E aggiunge: quella sentenza è anche la rappresentazione plastica dei limiti dei governi e della funzione contromaggioritaria di ogni Corte costituzionale; dimostra che “in un regime di Costituzione rigida e programmatica, né il Governo né lo stesso Parlamento sono onnipotenti”. Non a caso l’attacco alle alte Corti è tipico di governi, “democraticamente” eletti, artefici delle regressioni democratiche in atto nel mondo (Polonia, Ungheria, Israele ecc).

L’articolo si chiude così: “Sulle tombe dei morti della Resistenza, questa sentenza, nella sua semplice austerità, è più significativa e più commovente di una corona di fiori”. Aveva ragione. Quella sentenza ci ha liberato dalla legislazione fascista ma ha aperto una strada su cui tutti, istituzioni e cittadini, avremmo dovuto muoverci per costruire una compiuta democrazia costituzionale. Forse non lo abbiamo fatto abbastanza e allora ecco il senso del 25 aprile: rimetterci in cammino, possibilmente insieme, per dare attuazione alla nostra Costituzione e corpo alla sua cultura antifascista.