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di Dario del Porto

La Repubblica, 21 agosto 2023

Aumentano i giovanissimi che girano con pericolosissime armi bianche, ferendo e uccidendo coetanei per futili motivi: “È una distorta affermazione di sé”. Spiaggia di Marechiaro, Napoli. I primi giorni di luglio. Genny e Tony, diciassette anni entrambi, sono sul lettino di un lido insieme a una comitiva di amici. Venti minuti prima delle sette di sera, il bagnino li invita ad alzarsi perché si avvicina l’ora di chiusura. Per tutta risposta, i due tirano fuori dallo zaino un coltello e feriscono gravemente l’uomo. Nelle chat con una ragazza, uno dei due si vanta: “Gli ho dato due botte io e una il mio amico”. Nel suo decreto di fermo, il pm minorile evidenzia “l’insana cultura pre delinquenziale di portare armi bianche finanche su una spiaggia”.

Non succede solo a Napoli o nel Sud, ma in tutto il Paese. Basta scorrere il web per rendersi conto che da Siena a Piacenza, da Roma a Padova, passando per Bari, sempre più giovanissimi impugnano una lama e fatalmente finiscono per usarla. Per commettere un reato, per aggredire qualcuno o anche solo “per gioco”, come un mese fa disse, candidamente, ai carabinieri un dodicenne bloccato nel centro di Napoli mentre puntava l’arma alla gola di un coetaneo.

“Negli ultimi anni”, riflette Ciro Cascone, fino a un mese fa, e per otto anni, procuratore minorile a Milano e ora avvocato generale a Bologna, “ho notato una notevole diffusione del fenomeno in tutte le aree metropolitane del Paese. Tantissimi ragazzi escono con un’arma bianca in tasca. C’è chi porta il coltello preso in cucina, chi quello svizzero, altri uno a serramanico. E spesso parliamo di giovani che non hanno commesso altri reati. Per quelli che hanno già alle spalle un contesto deviante, l’arma serve per prepararsi ad altri delitti, solitamente una rapina. Nella maggior parte dei casi, direi in una percentuale dell’ottanta per cento, i reati che ho visto commettere da minori erano accompagnati dall’uso del coltello”.

In alcune realtà si comincia già da piccoli. Valeria Pirone, preside dell’istituto comprensivo Vittorino da Feltre del quartiere San Giovanni a Teduccio a Napoli, racconta: “Sei anni fa mi avvisarono che un bambino di terza elementare, di famiglia problematica, con il padre detenuto, stava minacciando un compagno di classe con il coltello. Arrivai subito, non era una lama piccola, ma un’arma a serramanico. Chiamai subito la polizia e alcuni genitori mi contestarono perché avevo fatto arrivare le forze dell’ordine a scuola”.

Non è solo un problema degli ambienti più disagiati, però. “Ci sono altri ragazzi”, sottolinea il magistrato Cascone, “che invece sembrano portare il coltello, almeno apparentemente, solo come strumento di difesa personale. Perché hanno paura e in questo modo di sentono più sicuri. È un errore gravissimo naturalmente, perché l’esperienza ci dice che se hai un’arma finisci prima o poi per usarla. Al tempo stesso però ci restituisce la dimensione della percezione della sicurezza che si respira nella società”.

Secondo Maria Luisa Iavarone, professore ordinario di Pedagogia generale e sociale e madre di Arturo, accoltellato gravemente nel 2016 da una baby gang a Napoli, il fenomeno “è trasversale e interclassista, perché deriva da uno schema interpretativo della realtà: un adolescente costruisce l’identità attraverso l’affermazione di sé stesso. Se non ha altre strade, come un genitore autorevole, una scuola efficiente, una politica credibile, resta solo la violenza, perché l’aggressività viene ritenuta sempre pagante, come unico modo per affermare sé stessi”.

Spesso, argomenta il procuratore Cascone, la reazione dei ragazzi lascia trasparire “una inconsapevolezza, una leggerezza, che sono tipiche dell’età adolescenziale, sulle quali però bisogna intervenire”. La sanzione prevista dalla legislazione minorile è una contravvenzione e fino a qualche anno fa, aggiunge Cascone, “veniva accompagnata da una valutazione di sostanziale irrilevanza del fatto. Come procuratore, proprio alla luce di quanto stava accadendo, ho voluto cambiare linea, perché è importante far capire ai giovani che non si può uscire di casa con un coltello in tasca. Forse andrebbe fatta una valutazione di politica criminale. Le pene oggi sono irrisorie, non fanno paura a nessuno. Non serve per forza l’arresto, ci si potrebbe inventare altre sanzioni più efficaci, in grado almeno di valere come deterrente. Senza dimenticare”, sottolinea Cascone, “che il lavoro più approfondito va fatto in prevenzione, combattendo la piaga della dispersione scolastica che non esiste solo al Sud”. Per la preside Pirone, “si deve intervenire sin dalla scuola dell’infanzia con messaggi chiari. Altrimenti, se ci si muove dopo diventa troppo tardi. Qualcuno, e mi è capitato anche questo, alle medie passerà dal coltello alle pistole”.