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di Francesco Machina Grifeo

Il Sole 24 Ore, 13 luglio 2023

Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza n. 141 depositata martedì, dichiarando l’illegittimità dell’art. 69, quarto co., del Cp, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante dell’art. 62, n. 4, Cp sulla recidiva dell’art. 99, quarto co., Cp.

Al fine di irrogare una pena non sproporzionata alla gravità del reato, la Corte costituzionale (sentenza n. 141 depositata oggi) ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 69, quarto comma, Cp, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante per la speciale tenuità del danno patrimoniale (articolo 62, n. 4, cod. pen.) sulla recidiva (articolo 99, 4 co., Cp.). Il caso era quello di un uomo che rischiava cinque anni di carcere dopo essere stato rinviato a giudizio per rapina (articolo 628, primo comma, cod. pen.) per avere costretto due dipendenti di un supermercato a consegnargli la somma di dieci euro mediante l’uso di minaccia, consistita nelle frasi “se non mi date 10 euro torno con la pistola” e “ti spacco la testa”.

Secondo il rimettente benché sussistessero gli estremi della circostanza attenuante all’imputato era stata però correttamente contestata la circostanza aggravante della recidiva. In un simile caso, sempre per il giudice a quo, l’esigenza di adeguare la pena all’effettivo disvalore del fatto giustificherebbe la dichiarazione di prevalenza dell’attenuante sulla recidiva. Infatti, anche il minimo edittale di cinque anni di reclusione costituirebbe una pena “del tutto sproporzionata rispetto alla condotta commessa, consistita nel conseguimento di un profitto di dieci euro con pari danno per la parte offesa”.

Il ragionamento del Gip di Grosseto convince la Consulta. L’effetto “calmierante” di tutte le circostanze attenuanti, osserva la Corte, ivi compresa quella relativa al danno patrimoniale di particolare tenuità (articolo 62, numero 4, cod. pen.), “rispetto all’elevato minimo edittale previsto dal legislatore per i delitti di rapina ed estorsione è però destinato a essere sistematicamente eliso, allorché all’imputato venga contestata la recidiva reiterata”. In tal caso, infatti, l’articolo 69, quarto comma, cod. pen. non consente al giudice, salve le possibili diminuenti connesse alla scelta del rito, di commisurare una pena inferiore al minimo edittale, e dunque a cinque anni di reclusione.

Del resto, ricorda la Corte, la “pressione punitiva” rispetto al delitto di rapina è cresciuta negli anni ed è “ormai diventata estremamente rilevante”, al punto che dovrebbe essere oggetto di una “attenda considerazione da parte del legislatore”. Vi rientrano infatti anche condotte di modesto disvalore: “non solo con riferimento all’entità del danno patrimoniale cagionato alla vittima, che può anche ammontare a pochi euro sottratti alle casse di un supermercato; ma anche con riferimento alle modalità della condotta, che può esaurirsi in forme minimali di violenza”.

Ebbene, anche rispetto a simili fatti, la disciplina vigente impone una pena minima di cinque anni di reclusione: “una pena che risulterebbe, però, manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità oggettiva dei fatti medesimi - anche in rapporto alle pene previste per la generalità dei reati contro la persona -, se l’ordinamento non prevedesse meccanismi per attenuare la risposta sanzionatoria nei casi meno gravi”.

Si tratta di considerazioni, continua la decisione, che “valgono anche rispetto a tutti gli altri delitti cui può trovare applicazione la circostanza attenuante in esame”. La particolare tenuità del danno patrimoniale “determina, di regola, una sensibile riduzione del contenuto di disvalore dei reati che offendono il solo patrimonio” di cui il giudice “deve poter tenere conto nella commisurazione del trattamento sanzionatorio”. “Circostanza, quest’ultima, che nulla ha a che vedere con la gravità oggettiva e soggettiva del singolo fatto di reato, cui la pena - in un sistema orientato alla “colpevolezza per il fatto”, e non già alla “colpa d’autore”, o alla mera neutralizzazione della pericolosità individuale - è chiamata a fornire risposta”.

“Anche rispetto alla circostanza attenuante di cui all’art. 62, numero 4), cod. pen. - conclude la Corte - si impone, pertanto, una nuova declaratoria di illegittimità costituzionale del meccanismo disegnato dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., sulla falsariga di quelle che l’hanno preceduta, sì da porre in condizioni il giudice di non dover necessariamente irrogare una pena manifestamente sproporzionata al disvalore del singolo fatto di reato, in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.”.

Con la sentenza n. 94 del 2023 la Corte aveva dichiarato illegittimo, per contrasto con i medesimi parametri oggi evocati, l’art. 69, quarto comma, cod. pen. nella parte in cui, relativamente ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo, prevedeva il divieto di prevalenza di qualsiasi circostanza attenuante sulla recidiva reiterata di cui all’articolo 99, quarto comma, cod. pen.. In quella occasione la Corte ha ripercorso tutte le decisioni in cui ha ritenuto incompatibile con la Costituzione, e segnatamente con il principio di proporzionalità della pena desumibile dagli articoli 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., il meccanismo del divieto di prevalenza di singole circostanze attenuanti rispetto all’aggravante della recidiva reiterata, riconducibile alla regola generale di cui all’articolo 69, quarto comma, cod. pen.