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di Mauro Palma*

La Stampa, 20 giugno 2022

Il Garante dei detenuti anticipa la sua relazione al Parlamento: “Le reti sociali dovrebbero intervenire prima del diritto penale”. Il disagio psichico è ben presente nel nostro sistema di detenzione: i numeri dei gesti autolesionistici e soprattutto dei suicidi - 29, a cui si aggiungono 17 decessi per cause da accertare - dell’età e della fragilità, spesso già nota, degli autori di tali definitivi gesti sono un monito; ci interrogano non per attribuire colpe, ma per la doverosa riflessione su cosa apprendere per il futuro da queste imperscrutabili decisioni soggettive.

L’analisi numerica del carcere pone tre riflessioni prioritarie che affiancano quelle più note dell’affollamento delle strutture, della inaccettabilità di molte di esse sia per chi vi è ristretto, sia per chi vi lavora ogni giorno, della loro inadeguatezza sul piano spaziale per una esecuzione penale costituzionalmente orientata. Le tre riflessioni riguardano in primo luogo l’accentuazione della presenza di minorità sociale in carcere: delle 54.786 persone registrate (a cui corrispondono 53.793 persone effettivamente presenti) e delle 38.897 che sono in esecuzione penale - essendo le altre prive di una sanzione definitiva - ben 1.319 sono in carcere per esecuzione di una sentenza di condanna a meno di un anno e altre 2.473 per una condanna da uno a due anni.

Una presenza, questa, che parla di povertà in senso ampio e di altre assenze e che finisce col rendere meramente enunciativa - e questa è la seconda riflessione - la finalità costituzionale delle pene espressa in quella tendenza al reinserimento sociale: perché la complessa “macchina” della detenzione richiede tempi per conoscere la persona, per capirne i bisogni e per elaborare un programma di percorso rieducativo.

Ma sono anche vite che altri sistemi di regolazione sociale avrebbero dovuto intercettare prima che intervenisse il diritto penale, strumento duro, sussidiario e anche costoso che dovrebbe restringere il proprio intervento alle sole situazioni in cui altre modalità di intervento non sono riuscite. La terza riflessione riguarda, quindi, la responsabilità esterna, del territorio, che finisce con affidare al carcere le proprie contraddizioni determinando quella detenzione sociale - il termine è di Alessandro Margara - che il carcere non può risolvere. Resta l’obbligo per il Garante nazionale di segnalare la scarsità di supporto psicologico e psichiatrico nelle strutture detentive, la frammentarietà degli interventi quasi sempre di risposta a situazioni già evolute e scarsamente centrati sulla prevenzione e sulla continuità dialogica. Una scarsità e una frammentarietà che, nonostante la professionalità dei singoli operatori, finisce con incidere sulle tensioni interne, sul ricorso ampio a interventi farmacologici, sulla previsione di una incongrua modalità di “sorveglianza a vista” che, a volte svincolata dalla continuità medica, rischia di far ricadere impropriamente sul personale di Polizia penitenziaria una funzione e una responsabilità che non attengono alla sua formazione.

Accanto, occorre osservare che non è possibile far ricadere questo problema sulle “Residenze per le misure di sicurezza” di natura psichiatrica, su cui spesso si concentra l’attenzione dell’informazione, perché ciò determinerebbe il rischio di strutture territoriali che avrebbero un carattere manicomiale in quanto contenitori di situazioni soggettive del tutto dissimili dal punto di vista giuridico e medico. Il Garante nazionale è ben consapevole dell’incompiutezza del percorso normativo e attuativo avviato con la legge che ha previsto tali Residenze.

Certamente anche nel caso delle Rems alcuni numeri devono esser rivisti. Ma nella doppia direzione: quella di ridefinire la loro presenza nel territorio, insufficiente in alcune specifiche aree, e quella di valutare l’eccesso di ricorso a tale misura, anche in via provvisoria e per fatti reato di minore entità, che determina la conseguenza di non avere disponibilità per casi definitivi e il perpetuarsi di presenze in carcere di persone che non hanno titolo giuridico per restarvi e soprattutto avrebbero bisogno di tutt’altra attenzione.

*Mauro Palma, Garante nazionale delle persone private della libertà personale, presenterà oggi alla presenza del capo dello Stato la relazione di cui pubblichiamo un estratto