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di Mattia Feltri

La Stampa, 4 agosto 2023

La memoria è dissenterica: non trattiene più nulla. Ma io ho fra le mani un libriccino di cui non mi sono scordato: si chiama Rebibbia Rhapsody, è uscito nel 1996 per Stampa Alternativa, casa editrice di sinistra, scritto da Pablo Echaurren, pittore e scrittore che fu in Lotta continua, con Valerio Fioravanti, terrorista nero condannato per la strage di Bologna. Echaurren aveva conosciuto Fioravanti a Rebibbia quando Gianni Borgna, assessore della giunta di sinistra di Francesco Rutelli, gli propose di coinvolgere i detenuti in un progetto artistico.

Dopo la condanna a Fioravanti, in un’intervista a Letizia Paolozzi sull’Unità, Echaurren raccontò che gli venne da piangere. Parole che ha pagato, in molti gli hanno tolto il saluto. Ma in seguito nacque un comitato - “E se fossero innocenti?”, e cioè Fioravanti e sua moglie Francesca Mambro - di cui facevano parte, fra gli altri, Liliana Cavani, Franca Chiaromonte, Ersilia Salvato, Luigi Manconi, Sandro Curzi. Non so se a Giorgia Meloni questi nomi dicano qualcosa, quando rifiuta l’antifascismo per un confusissimo senso di rivalsa, o a Elly Schlein, quando rifiuta ogni revisionismo (la storia è revisionista oppure non è). Non sto parlando della verità processuale di Bologna, sto parlando, e riprendo Manconi nella postfazione di quel libriccino, di un tempo in cui il discrimine fra destra e sinistra si era civilizzato. Invece di spararsi ci si parlava. O si scrivevano i libri insieme, si riscriveva la storia. Ci provarono tanti altri: Walter Veltroni, Luciano Violante, Pinuccio Tatarella. Anche oggi non ci si spara, ma solo perché la tragedia ha ceduto il passo alla commedia.