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di Francesco Machina Grifeo

Il Sole 24 Ore, 27 luglio 2023

Per le Sezioni unite, sentenza n. 32318/2023, la motivazione deve però dar conto di un progressivo rafforzamento della determinazione criminosa e dell’attitudine a delinquere del reo. Le Sezioni unite, sentenza n. 32318/2023, formalizzano l’ormai “costante” approdo giurisprudenziale che ammette la contestazione della recidiva reiterata, anche in assenza di una dichiarazione giudiziale di recidiva semplice, insistendo però sull’obbligo motivazionale ed in particolare sulla dimostrazione del progressivo rafforzamento della determinazione criminosa del reo. La Corte di cassazione ha così bocciato il ricorso presentato da un uomo condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione e cinquecento euro di multa per il reato di furto di due blocchetti di assegni e denaro liquido da un ristorante, aggravato, tra l’altro, dalla recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, considerate tre precedenti condanne (due già definitive al momento del delitto).

Secondo la difesa l’assenza di una precedente condanna per fatti aggravati dalla recidiva “induceva a ritenere che la stessa fosse stata esclusa in quelle sedi”. E dunque, in assenza di condanne precedenti per la recidiva semplice, veniva meno la stessa possibilità di ritenere configurabile la recidiva reiterata. Per la Quinta Sezione penale l’indirizzo maggioritario, quello che ammette comunque la contestazione, “deve essere superato nella direzione della necessità, per la configurabilità della recidiva reiterata, di una precedente sentenza definitiva di condanna per un reato aggravato dalla recidiva”.

Al termine di una lunga dissertazione le S.U. affermano invece che “la recidiva reiterata può essere accertata, ritenuta ed applicata nei confronti di un soggetto recidivo, da considerarsi tale in quanto già condannato due volte per delitti non colposi, anche se tale condizione di recidivanza non sia stata ritenuta nel precedente giudizio, in conformità con l’indirizzo fin qui seguito dalla giurisprudenza di legittimità”.

Tuttavia, argomenta, non deve essere trascurata l’importanza dell’evoluzione che ha portato ad una diversa configurazione della recidiva e dei suoi aspetti applicativi. Lo spazio nel quale questa realtà può trovare adeguata considerazione, però, non è quello di un irrigidimento formalistico nella successione delle affermazioni giurisprudenziali delle varie ipotesi di recidiva, ma, piuttosto, quello della motivazione sull’applicazione della recidiva reiterata, in particolare nel caso in cui non vi sia stato un precedente accertamento della recidiva semplice.

La rilevanza dell’aspetto motivazionale della recidiva, del resto, è stata già segnalata dalle Sezioni Unite nel rilevare che la facoltatività dell’applicazione della stessa impone al giudice, sia nel caso in cui disponga tale applicazione che nel caso contrario, uno specifico dovere di motivazione in proposito. In questo senso, il superamento della concezione della recidiva come status soggettivo determinato dai soli precedenti penali non rende più ammissibile una motivazione affidata a formule di stile; è di contro doverosa un’argomentazione che, precisando gli elementi fattuali presi in considerazione e i criteri utilizzati per valutarli, dia conto della maggiore rimproverabilità del reo per non essersi fatto distogliere dalla risoluzione criminosa per effetto delle precedenti condanne (n. 20808/2018).

E gli elementi fattuali ed i criteri di valutazione a cui la motivazione deve fare riferimento restano quelli già indicati dalle stesse Sezioni Unite nella sentenza Calibè, e cioè: la tipologia e l’offensività dei reati, la loro omogeneità e collocazione temporale, la devianza della quale sono complessivamente significativi e l’occasionalità o meno dell’ultimo delitto, oltre ad eventuali, ulteriori, dati emergenti dalla fattispecie concreta.

Con riguardo alla recidiva reiterata, il principio si traduce nella necessità che i fatti oggetto delle pregresse condanne ed il nuovo delitto “siano esaminati nelle loro connotazioni sintomatiche di un progressivo rafforzamento della determinazione criminosa e dell’attitudine a delinquere del reo”.

E di questo dà conto la motivazione della condanna laddove individua l’accrescimento della determinazione a delinquere dell’imputato, “nella successione dei reati di furto, dimostrato dalla sempre maggiore specializzazione nell’esecuzione delle condotte”, con il coinvolgimento di più persone, la scelta di un locale pubblico chiuso ed appartato e l’impossessamento di titoli di credito oltre che di denaro contante.

In tal modo, continua la Cassazione, la motivazione tocca tutti gli aspetti determinanti nel giudizio sulla sussistenza del presupposto sostanziale della recidiva, vale a dire l’omogenea offensività patrimoniale di tutti i reati oggetto delle precedenti condanne, la loro collocazione in un contesto temporale unitario e continuo, nel quale si colloca anche il delitto estorsivo, e il carattere non occasionale dell’ultima ricaduta nel crimine.

In definitiva le S.U. hanno enunciato il seguente principio di diritto: “Ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice”.