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di Federico Minniti

Avvenire di Calabria, 27 settembre 2022

Pagare una colpa, anche grave, non vuol dire essere costretti a subire costanti mortificazioni e danni, a volte, irreversibili. Due detenuti, due vite. Una spezzata, l’altra piagata dall’abbandono in riva allo Stretto. Per entrambi, giustizia e società civile invocano attenzione. Ma basterà? Pagare una colpa, anche grave, non vuol dire essere costretti a subire costanti mortificazioni.

Carceri a Reggio Calabria, s’indaga su più casi irrisolti - Chi vive la comunità carceraria è solito definirla come “una città nella città”. Una sorta di dimensione “altra”, troppo spesso scollata (o addirittura nascosta!) da quella ordinaria. Questi aspetti non fanno altro che rafforzare la dicotomia tra libertà e detenzione col serio rischio di far cadere nell’oblio i destini di quanti si ritrovano ristretti.

Negli ultimi giorni, sono, però, balzate agli onori della cronaca due vicende che riguardano altrettanti detenuti reggini. La prima, purtroppo, ha registrato una vittima. Ci stiamo riferendo ad Antonino Saladino, giovane detenuto morto quattro anni fa a causa di un’infezione interna mentre era detenuto presso la Casa circondariale di Arghillà.

Nella mattinata di mercoledì, il Gip di Reggio Calabria, Antonino Foti, all’esito dell’udienza di discussione dell’opposizione alla richiesta di archiviazione, ha disposto la restituzione degli atti al Pm per la prosecuzione delle indagini dirette ad accertare le cause della morte del giovane.

Già nel marzo 2021, il Gip aveva, infatti, ordinato l’espletamento di nuove attività investigative al fine di accertare eventuali responsabilità nel tragico evento, ma il Pubblico ministero, a distanza di un anno, aveva avanzato una nuova richiesta di archiviazione. Nella stessa giornata, poi, il Garante per i diritti dei detenuti della Città metropolitana di Reggio Calabria, Paolo Praticò, ha diffuso una denuncia inquietante: “Desidero portare all’attenzione pubblica il caso di un detenuto disabile psichiatrico ristretto presso il carcere di via San Pietro a Reggio Calabria; il soggetto in questione versa in uno stato di totale degrado, vivendo seminudo tra i propri escrementi che per quanto ripuliti periodicamente dal personale addetto, tuttavia non è sufficiente a consentirgli una detenzione normale”.

“Le urla lamentose - prosegue Praticò - si avvertono da tutti i reparti. Il personale sanitario e gli agenti penitenziari fanno il possibile per contenerlo ma risulta inutile”. Il Garante metropolitano nella sua lettera aperta ha spiegato come sia “stato chiesto il trasferimento in una struttura adeguata. La risposta è stata che appena si libererà il posto verrà trasferito e questo dura da circa sei mesi”.

Conclude Praticò: “Questo ufficio ha deciso di fare un esposto alla Procura della Repubblica perché accerti eventuali responsabilità e di costituirsi parte civile nel caso venissero individuate o la situazione dovesse precipitare”.