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di Anna Foti

ilreggino.it, 27 agosto 2024

Paola Schipani e Romina Arena raccontano l’esperienza del loro servizio che non si è fermato: “Quando fuori si va in ferie, come quando ricorrono le festività, la nostra attività è ancora più di sostegno perché chi vive ristretto fa molta più fatica”. “Quando una persona ritrova una parola che ad un certo punto della vita aveva smesso di pronunciare o conosce una parola nuova, ecco per noi quello è un traguardo pieno di nuove opportunità come quella di ritrovare un sentimento o intravedere una possibilità di immaginare, di liberare la propria fantasia. Il testo che leggiamo in carcere è un pretesto per far accadere la cosa per noi più importante: fare precipitare nel centro del cerchio il vissuto delle persone che lo compongono, ossia i detenuti.

Come si può immaginare di interrompere questo percorso? Nonostante il periodo di vacanza ci siamo organizzati per presenziare settimanalmente. Non abbiamo voluto lasciare chi costantemente conosce il vuoto della lontananza e dell’isolamento. Un vuoto che in carcere si amplifica”. Questa la testimonianza di Paola Schipani volontaria in carcere da vent’anni e che da dieci, con l’educatrice alla lettura consapevole Romina Arena, conduce ogni settimana due laboratori di lettura, uno per il gruppo della sezione di media sicurezza e l’altro per il gruppo della sezione dei protetti del carcere di Arghillà di Reggio Calabria. La loro attività non si è fermata in queste vacanze. “Quando “fuori” si va in ferie, come quando ricorrono le festività, la nostra attività è ancora più di sostegno perché chi vive ristretto fa molta più fatica”, sottolineano Paola Schipani e Romina Arena.

Dai colloqui agli incontri - “Il laboratorio di lettura nel carcere di Arghillà è attivo da un decennio. Avviato nel carcere Giuseppe Panzera, noto come San Pietro, è stato poi trasferito nel carcere nuovo. Esso è nato dall’ascolto. Nel 2004 - racconta Paola Schipani - con il Cvx iniziai a prestare un servizio volontario in carcere. In sede di colloqui incontravamo le persone detenute per cogliere le esigenze essenziali. Nel tempo quei colloqui divennero dei veri e propri incontri in cui ascoltare e parlare. Con chiarezza colsi l’esigenza forte di momenti di relazione constanti e allargati che consentissero anche alle persone detenute di incontrarsi tra di loro.

Mi accorsi anche di un’altra urgenza, quella creare possibilità di parlare in contesti nuovi in cui il vocabolario potesse tornare a spaziare con parole proprie del mondo dell’affettività e di una quotidianità non solo scandita da codici e da un gergo burocratico legato ai permessi, ai processi, insomma alla vita in carcere. Così mi rivolsi a Vincenzina Zappia e a Sofia Sarlo, della conferenza di San Vincenzo De Paoli, decane del volontariato in carcere, per condividere il mio pensiero e proporre un laboratorio di lettura che dal 2017 si avvale del prezioso apporto di Romina Arena, educatrice alla lettura consapevole. Negli anni, infatti, abbiamo collaborato con l’associazione culturale Pietre di scarto, grazie alla quale abbiamo promosso in carcere incontri con scrittori come Eraldo Affinati”.

Le parole ritrovate - “In carcere - racconta ancora Paola Schipani -il vocabolario diventa asfittico. Muoiono tutte le parole della vita ordinaria, tutte le parole dell’affettività, tutte le parole che non sono utili a descrivere le esigenze strettamente legate a fronteggiare la condizione di restrizione. Dunque il bisogno di ampliare il vocabolario in carcere è palpabile come quello di tornare a dare un nome ai sentimenti. Il carcere è la struttura più conformista che esista e il rischio di dimenticare, persino il proprio nome, visto che ci si sente chiamati per cognome, è concreto. La vita delle persone detenute è fortemente ancorata al dato materiale della loro restrizione. Le parole possono contribuire a modificare questa dimensione.

Attraverso le parole, nel nostro caso, della letteratura, passa la possibilità di leggere il mondo, di leggere sé stessi e di immaginare un cambiamento. C’è sembrato fondamentale lavorare in questa direzione e continuiamo a farlo con costanza. Un’attività che ci ha consentito di creare rapporti autentici, ognuno con un proprio percorso. Così c’è stato anche chi, dopo un’inziale diffidenza è poi venuto a chiedere un libro. Piccole grandi rivoluzioni necessarie in carcere, come in ogni altro contesto abitato da persone”.

Uno spazio di libertà in carcere - “Il laboratorio - spiega Romina Arena - è un’occasione per confrontarsi con un testo letterario che non racconta nient’altro che la vita delle persone comuni. Per leggere non occorre essere letterati o accademici. Dentro la letteratura altro non vi è che la vita quotidiana, spesso la più faticosa e la più difficile. Dunque in carcere la possibilità di un laboratorio di lettura consapevole ha un valore che non è diverso da quello che può avere un laboratorio di lettura in altro contesto. I nostri laboratori non sono rivolti ai detenuti ma alle persone. Noi siamo con loro, non con quello che rappresentano, con il reato che hanno commesso. Siamo oltre, insieme. Li stimoliamo a mettersi in gioco in un contesto circolare in cui poter tirare fuori, superando un linguaggio fortemente stereotipato, tutto quanto sottaciuto altrove, il loro vissuto esperienziale.

Noi vediamo le persone emozionarsi e anche commuoversi, sperimentare la possibilità di liberare le parole, il lessico e così le emozioni, il pianto e tutta la gamma dei sentimenti. Uno spazio di libertà dentro il carcere, un luogo in cui potersi esprimere, liberi da pregiudizi. Ciò che cambia è solo il livello di ascolto, notevolmente potenziato perché le persone che partecipano ascoltano la nostra voce e anche quello spazio di silenzio che di cui spesso ci si dimentica, che si dà per scontato nella quotidianità nella nostra vita. Un’esperienza che offre ai detenuti e anche a noi delle nuove possibilità”.

Stare dentro per portare fuori una voce nuova - “Un’esperienza che non è di intrattenimento e che rientra a pieno titolo nel percorso trattamentale che coinvolge le persone detenute. Non è un’occasione di “evasione” ma è un’opportunità di acquisire una prospettiva diversa, di costruire insieme uno sguardo diverso sulle relazioni, sulla complessità della vita, sulla problematizzazione della vita e sul valore che tutto questo costituisce soprattutto in un frangente, che non riguarda il carcere ma l’intera società, in cui la sfrenata semplificazione non sostiene ma riduce e comprime il valore della persona. Spesso la persona ristretta sente su di sé esclusivamente lo stigma della condanna che ha subito e si dimentica di essere persona. Invece - prosegue Romina Arena - è importante per noi che sia superata questa percezione come è importante che anche fuori, dove noi testimoniamo la nostra attività dentro il carcere, allo stesso modo, sia superata la separazione sociale tra carcere e società civile, di cui il carcere non solo è componente viva e uno specchio. Il nostro senso di stare dentro è anche quello di farsi testimoni per portare fuori la possibilità di decolonizzare un immaginario molto stratificato e ancora ancorato a narrazioni vecchie. Dentro la società civile le narrazioni possono e devono essere nuove e anche belle perché popolate da persone e da emozioni”.

Leggere per scegliere - “Ogni volta che ci confrontiamo con un testo, inevitabilmente troviamo aspetti che ci riguardano, sfumature che, assomigliandoci, ci accomunano o ci differenziano allora si crea questo legame empatico, profondamente umano che rende questa lettura condivisa una finestra dalla quale guardarsi in modo nuovo e, perché no, desiderare di scegliere e di cambiare, tendere alle stelle. Un percorso - conclude Romina Arena - che costruisce relazioni autentiche e che viviamo con la responsabilità appropriata a chi sa di essere attesa. Quel momento, nell’arco di quel tempo comunque difficile, è importante. È quello spazio di libertà che non conosce stagioni. Dunque ci siamo state per tutta l’estate. Non avremmo potuto e voluto fare diversamente”.

Un libro sospeso - “La proposta è stata lanciata dalle stesse persone detenute della media sicurezza del carcere di Arghillà. Le librerie di Reggio Calabria hanno aderito all’iniziativa avviata un paio di mesi fa e che si protrarrà per tutto il mese di settembre. È possibile acquistare i libri in copertina morbida che poi saranno raccolti per essere collocati nella biblioteca del carcere di Arghillà. La cittadinanza potrà aderire recandosi presso librerie oppure acquistando online sulle piattaforme specifiche”, conclude Romina Arena che domani pomeriggio alle ore 18:30 interverrà all’iniziativa di sensibilizzazione “Libri che liberano”, presso la libreria Libro Amico di Reggio Calabria. Con lei anche Ida Triglia, docente di lettere negli istituti penitenziari, e Kento, rapper e scrittore reggino molto attivo in progetto con giovani inseriti nel circuito penale.

Dentro e fuori - Dunque raccontare fuori ciò che accade dentro una persona, sia essa ristretta oppure libera e scoprire una comunanza che sfida quella separazione materiale che pure esiste tra il dentro e il fuori ma che la lettura supera e annulla, innescando una sorta di riappropriazione di emozioni, e di parole e gesti per manifestarle, per dare atto della loro esistenza. Ciò rende evidente che quanto si ritiene lontano, in un luogo altro e distante e da tenere a distanza, in realtà è non solo è straordinariamente simile ma è parte integrante. La relatività di parole come dentro e fuori, ancora imprigionate in rigide categorie utili solo a ridurre ciò che non è riducibile, è essenziale. Essa solo può concorrere a spiegare come esse vadano costantemente ribaltate per essere traccia attendibile della vita che sono chiamate a raccontare.

Così dentro la società civile deve entrare la voce del carcere e di tutto quanto, essendo vita, non può e non deve essere lasciato fuori. Così la lettura diventa un atto rivoluzionario nel carcere e nella società civile genericamente intesa. Uno spazio di speranza nonostante le tante criticità che ancora attanagliano l’universo carcerario, soprattutto quello sovraffollato con carenza di personale di Arghillà.