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ilreggino.it, 9 ottobre 2023

Paolo Praticò si congeda illustrando tutte le attività poste in essere nei cinque anni del suo mandato. Il garante metropolitano dei detenuti Paolo Praticò in vista della scadenza del suo mandato, ha stilato una relazione circa l’attività compiuta in questi anni. “Tra poco più di sei mesi - scrive - scadrà il mio mandato come Garante metropolitano e desidero fare una breve sintesi dei cinque anni d’attività negli Istituti Penitenziari di Reggio Calabria e provincia.

L’impegno per garantire i diritti di “persona” ai detenuti è stato intenso, continuo, a volte gratificante altre deludente, ma non è mia intenzione elencare gli interventi, gli ultimi dei quali in sinergia con l’avv. Luca Muglia, Garante regionale, che hanno visto riconosciuti diritti primari come quello alla salute, all’affettività mediante avvicinamento ai luoghi di residenza e sostenuto con successo istanze per permessi premio, domiciliari o ricoveri per malattie.

Abbiamo implementato un patronato per l’assistenza previdenziale e attivato un servizio autentica firme con la collaborazione della Polizia metropolitana. Servizio disatteso dal comune nonostante un protocollo d’intesa che lo prevedeva. Mi preme, perciò, evidenziare semplici cose, che ancora non funzionano come dovrebbero e che in stato detentivo diventano complesse come appunto lo sportello anagrafe o peggio ancora il riconoscimento di paternità che in carcere diventa impossibile se non a costi eccessivi o con procedure di sicurezza complicate, mentre basterebbe che l’ufficiale di stato civile venisse autorizzato a portare i registri all’interno del carcere e in questo senso ci stiamo adoperando con il magistrato di sorveglianza.

Tanti i progetti presentati e attuati, sottolineo quelli in essere o pronti ad essere avviati in collaborazione con alcune associazioni di volontariato come “Non una di meno”, laboratori di scrittura creativa, teatro, insegnamento dell’italiano agli stranieri, mediatori linguistico culturali e screening periodici per le donne grazie all’associazione medici nel mondo, associazioni che sono coadiuvate dalla consigliera pari opportunità della città metropolitana. Sono tutte attività che favoriscono la riabilitazione, termine che ritengo più confacente allo stato di detenzione piuttosto che rieducazione. Quest’ultimo dà l’idea di coartazione a comportamenti stereotipati, così come il termine “punizione”, poiché il linguaggio determina il comportamento e nel voler punire si rende consequenziale l’atteggiamento aggressivo di chi esegue. La società è formata da un insieme di persone e ne fa parte anche chi delinque, nessuno può essere considerato come altro e se le responsabilità sono personali, il gruppo non può essere esente, anche solo per la mancata integrazione, perché negata.

Se a causa di un trauma ci fatturiamo un arto, lo ingessiamo limitandolo nella libertà di movimento ma non per punirlo, bensì per riabilitarlo, perché fa parte di noi, del nostro corpo e dobbiamo prenderci cura fino alla completa riabilitazione. Altra considerazione che ritengo di dover fare è il rapporto tra gli agenti e i detenuti. Sarebbe interessante eseguire uno studio approfondito per capire cosa si potrebbe migliorare. Dalla osservazione empirica che ho potuto effettuare nel corso di questi anni come Garante ma anche prima come partecipante a dei progetti riabilitativi, posso dire che ho rilevato una eccezionale empatia tra le agenti e le detenute oltre che, attraverso gli scritti di alcune di loro, soprattutto dal comportamento e questo è osservabile anche nelle sezioni maschili. Tuttavia si verificano casi di maltrattamento e la cronaca documenta quelli più eclatanti, dovuti certamente allo stress di una condizione che accomuna taluni agenti e i più facinorosi tra i detenuti ed in questi casi uno studio approfondito potrebbe essere utile per trovare soluzioni di supporto. Concludo questa mia relazione, con la consapevolezza di aver fatto quanto ho potuto non certo quanto avrei voluto”.