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di Alessandra Codeluppi

Il Resto del Carlino, 18 luglio 2023

Il difensore: “Non è stata una tortura. Va valutata la personalità del carcerato e l’antefatto”. “La Convenzione di New York definisce come tortura le azioni che infliggono dolore volte a estorcere informazioni a una persona. Nel caso avvenuto in carcere a Reggio, questa fattispecie di reato non sussiste: non c’è reiterazione della condotta e non sono stati tenuti comportamenti mortificanti verso il detenuto”.

È quanto dichiara l’avvocato Alessandro Conti, che difende uno dei quattordici agenti della polizia penitenziaria indagati per il pestaggio denunciato da un 40enne tunisino quand’era detenuto nella struttura di via Settembrini. L’uomo, sottoposto alla sospensione di un pubblico ufficio per dieci mesi, è comparso ieri mattina davanti al giudice per le indagini preliminari Luca Ramponi: per lui, e per altri cinque indagati, il gip ha escluso la gravità indiziaria per tortura (“Si sono limitati ad assistere alle condotte”, si scrive nell’ordinanza), invece ravvisata per otto sui quattordici agenti finiti sott’inchiesta.

Ieri mattina sono iniziati gli interrogatori di garanzia per gli agenti raggiunti da misura. Otto persone sono state raggiunte dalla sospensione per un anno, altri due uomini per dieci mesi; cinque fra questi sono anche stati sottoposti all’obbligo di firma. Per otto di loro la misura è stata applicata in relazione al reato di tortura; ipotizzate anche le lesioni (prognosi entro i venti giorni) e il falso per la stesura di tre relazioni. Secondo la ricostruzione investigativa, fatta attraverso la videoregistrazione interna e a testimonianze, il detenuto era uscito dalla stanza del direttore, dopo che era stato sanzionato con l’isolamento per condotte che violavano il regolamento.

Mentre andava verso la cella di isolamento, è stato incappucciato con la federa di un cuscino, fatto cadere a terra e preso a pugni e pedate. Poi è stato sollevato a mezz’aria e denudato, portato nella cella e di nuovo aggredito. Davanti al giudice, ieri gli agenti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere: “Una scelta derivata dal fatto che non abbiamo ancora visto gli atti e neppure il filmato”, dichiara l’avvocato Liborio Cataliotti che difende due agenti sospesi per un anno e sottoposti all’obbligo di firma, per i quali preannuncia il ricorso al Riesame: “Occorre approfondire la personalità del detenuto e l’antefatto rispetto al pestaggio: ci risultano due relazioni disciplinari fatte nel carcere di Bologna dove lui si trovava prima di Reggio. Non è stata una spedizione punitiva, ma un’azione subitanea, frutto di una condotta discutibile del detenuto che pare volesse andare in un reparto diverso da quello al quale era stato destinato”.

Un altro agente, sospeso per dieci mesi, è assistito dall’avvocato Federico de Belvis: “Il gip ha escluso la gravità indiziaria sul reato di tortura. A oggi per lui l’ordinanza riguarda solo il falso. Si è avvalso della facoltà di non rispondere: i tempi ristretti non hanno permesso valutazioni alternative, ma potrebbe decidere di rendere interrogatorio più avanti. Valuteremo il ricorso al Riesame”. Posizione simile, allo stato delle valutazioni del gip, anche per l’uomo difeso dall’avvocato Conti: “Ho visto il video - dichiara il legale . Emerge un intervento crudo, è vero, ma si verifica a seguito di atteggiamenti che in una struttura penitenziaria sono difficilmente tollerabili, ad esempio rispetto all’ipotesi che il detenuto potesse avere con sé materiale tagliente come le lamette. Le condotte che eccedono possono essere configurate in modo diverso rispetto alla tortura”.