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di Alessandra Codeluppi

Il Resto del Carlino, 9 aprile 2024

Le difese chiedono di togliere l’interdizione dal lavoro, ma la pm si oppone. Intanto passa la citazione del Ministero della Giustizia come responsabile civile. Spunta un altro presunto episodio violento, risalente al 2020, che sarebbe stato commesso verso un uomo che fu detenuto nel carcere reggiano. Vi sarebbe una pesante analogia con quello al centro dell’udienza preliminare che ora vede imputati dieci agenti della polizia penitenziaria, accusati di tortura a un tunisino che era recluso sempre alla Pulce, lesioni e falso in atto pubblico: l’utilizzo di una federa per incappucciare il detenuto. Dell’altro caso, finora rimasto inedito, ha fatto accenno, davanti al gup Silvia Guareschi, il pubblico ministero Maria Rita Pantani, titolare del fascicolo sulla contestata tortura al tunisino 44enne, datata il 3 aprile 2023 e su cui lui sporse denuncia affidandosi all’avvocato Luca Sebastiani: un caso diventato di interesse nazionale anche per la politica. Ieri gli avvocati difensori dei poliziotti hanno chiesto di togliere la misura interdittiva della sospensione di un pubblico ufficio o servizio, disposta nel luglio 2023 dal gip Luca Ramponi, per qualcuno ormai prossima alla scadenza: sulla decisione il gup Guareschi si è riservata. Il pm ha espresso parere contrario e ha detto di aver già depositato documenti su un altro caso che ha similitudini con quello del tunisino. Da quanto trapela, quest’altro detenuto, poi trasferito da Reggio a Piacenza, si sarebbe fatto refertare le ferite. Al momento non sarebbe però stato possibile individuare gli autori - dunque a oggi il caso non è collegabile agli attuali dieci imputati o ad altri - perché in quel caso mancavano le telecamere. I filmati, invece, insieme ad alcune testimonianze, sono alla base della ricostruzione investigativa sul caso del tunisino: dopo essere stato sanzionato con l’isolamento per condotte che violavano il regolamento, sarebbe stato incappucciato e preso a pugni, poi calpestato sulle caviglie con le scarpe d’ordinanza mentre gli fu torto un braccio. Infine sollevato, denudato e portato nella cella di isolamento: qui, liberato il viso, sarebbe stato di nuovo aggredito. Secondo quanto sostenuto da alcune difese nei mesi scorsi al Riesame, si sarebbe trattato al massimo di abuso dei mezzi di correzione, rispetto a un detenuto problematico che aveva ricevuto rapporti disciplinari anche in altre carceri.

Ieri mattina le difese si sono opposte alla costituzione di parte civile di alcuni soggetti, specie per la Onlus Yairaiha, con sede a Cosenza: di contro l’avvocato Vito Daniele Cimiotta ha rimarcato la storia ventennale nella tutela dei detenuti. Alla fine il giudice ha rigettato le domande delle difese: sono quindi costituiti parte civile il tunisino 44enne (assistito dall’avvocato Sebastiani), il Garante nazionale dei detenuti (avvocato Michele Passione) e quello regionale (avvocato Daniele Vicoli), la Onlus Yairaiha e l’associazione Antigone (avvocato Simona Filippi). Sebastiani ha chiesto e ottenuto la citazione a giudizio del ministero della Giustizia come responsabile civile: “Nelle carceri c’è sovraffollamento di detenuti e scarso personale. C’è anche chi lavora bene, ma la situazione generale è quella di un mondo marcio, come ha detto un sindacato di polizia, in cui le persone tendono a marcire”. “Ritengo che la nostra ammissione fosse sacrosanta in un procedimento in cui gli imputati hanno calpestato ogni diritto costituzionalmente garantito”, dichiara Cimiotta. Antigone, “attiva dall’inizio su questo caso terribile - dice Filippi - esprime soddisfazione”. Da quando emerge, è stata già accolta dal Gup Guareschi la richiesta di togliere la misura cautelare all’unico agente ancora sottoposto all’obbligo di firma quotidiano, difeso dall’avvocato Federico De Belvis. Rinvio a maggio per la scelta dei riti processuali.