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di Maria Elena Gottarelli

La Repubblica, 15 luglio 2023

Dieci poliziotti, inchiodati dalle videocamere, sono stati indagati e sospesi per le torture denunciate da un carcerato tunisino, che dopo tre mesi di richieste ora ha potuto incontrare la famiglia. Dopo 12 solleciti via mail e una richiesta formale a fine aprile dell’avvocato, i familiari del detenuto tunisino di 41 anni che ha denunciato violenze e torture subite il 3 aprile scorso nel carcere di Reggio Emilia da parte di agenti della polizia penitenziaria ora sotto indagine, possono finalmente andare a fargli visita.

Dopo mesi di attesa, venerdì mattina il fratello e la cognata del detenuto (difeso dall’avvocato Luca Sebastiani), che nel frattempo era trasferito a Parma in cella d’isolamento, lo hanno potuto incontrare. In giornata l’uomo dovrebbe essere nuovamente trasferito a Modena. Intanto è stato fissato per lunedì prossimo l’interrogatorio di garanzia per i dieci agenti destinatari di misure cautelari, sui 14 indagati, a vario titolo, dalla Procura di Reggio Emilia. Pesanti le accuse di tortura, lesioni personali e falso in atto pubblico per tre diverse relazioni di servizio.

In una conferenza stampa indetta giovedì, il procuratore capo Calogero Gaetano Paci ha riportato la ricostruzione fornita dagli stessi inquirenti della polizia penitenziaria reggiana che si sono occupati del caso coordinati dalla pm Maria Rita Pantani. Fondamentali per ricostruire la dinamica sono state le immagini delle telecamere di sorveglianza interne al penitenziario che, riporta il procuratore, hanno ripreso i pestaggi e le umiliazioni subite dal detenuto, “incappucciato con una federa di un cuscino, messo a terra con uno sgambetto e poi ripetutamente preso a pugni, pedate, trattenuto pancia a terra per gli arti superiori e inferiori, percosse. Gli hanno camminato sopra gli arti con gli scarponi, per immobilizzarlo fuori da ogni norma consentita”.

Sul punto, è intervenuto anche il garante regionale per i diritti dei detenuti Roberto Cavalieri, che giovedì ha incontrato il detenuto a Parma e, sentito da Repubblica, ha condannato nettamente le violenze denunciate: “Se confermati - ha detto - questi fatti indicano un tipo di violenza quasi militare da parte degli agenti, che si sarebbero comportati come una vera e propria squadra”. Questo non significa, per il garante, “che tutto il sistema della polizia penitenziaria sia marcio, non è così e lo dimostra il fatto solo in Emilia-Romagna si verificano migliaia di contatti al giorno tra agenti e detenuti”.

Per il garante “il corpo di polizia penitenziaria nel suo complesso è sano, tant’è vero che è stata proprio la polizia penitenziaria a svolgere le indagini” - ma esiste un problema a monte, che deriva dai contesti di grave difficoltà in cui versano carceri come quella di Reggio Emilia, descritta da Cavalieri come “una zona calda” già da diverso tempo. “Basti pensare al fatto che nel 2022 a Reggio Emilia, il numero di aggressioni da parte dei detenuti nei confronti degli agenti è stato pari a quello di Parma, dove però il numero di detenuti è esattamente il doppio”.

Le carceri si trasformano così “in veri e propri campi di battaglia”, dove, però, le vittime note sono (quasi) sempre solo gli agenti, che ad ogni episodio fanno rapporto. Mentre “non esistono dati certi sulle violenze subite dai detenuti”, che più difficilmente sporgono denuncia, come è avvenuto in questo caso specifico. Ma per una voce che si leva, ad oggi è impossibile determinare quante non oltrepassano le mura carcerarie. E allora, “le carceri vanno innanzitutto rese luoghi di maggiore benessere sia per i detenuti che per gli agenti. Poi serve promuovere la riconoscibilità degli operatori di polizia penitenziaria da parte dei detenuti, tramite un numero identificativo. Le carceri vanno rese luoghi di maggiore trasparenza”.

Sul tema è intervenuto anche il senatore di Azione-Italia Viva, Ivan Scalfarotto che ha puntato il dito contro l’abrogazione del reato di tortura promossa da FdI: “Solo pochi mesi fa FdI ha presentato una proposta di legge sull’abrogazione del reato di tortura - ha detto - come dimostrano i fatti di Reggio Emilia, si tratta invece una norma indispensabile, che deve restare nell’ordinamento anche nell’interesse dei tanti agenti della polizia penitenziaria che operano quotidianamente nelle nostre carceri con professionalità e abnegazione”.