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di Chiara Gabrielli

Il Resto del Carlino, 16 febbraio 2024

Castagna (ex capo area educativa alla Pulce): “Dobbiamo ascoltare queste persone, conoscerle. Serve una formazione più approfondita del personale di polizia e c’è bisogno urgente di psicologi e volontari”. “Cosa si prova a vedere quelle immagini? Ci cadono le braccia. La sensazione è che, con tanta fatica e molto tempo, si riesce a fare un passettino in avanti. E così invece, in un colpo solo, si fanno venti passi indietro”.

Passa un’ombra sul volto di Massimo Castagna, funzionario giuridico-pedagogico - più semplicemente, educatore - ex capo area educativa alla Pulce, quando ripensa al video choc dove si vede un detenuto incappucciato pestato dagli agenti. L’episodio risale all’aprile scorso, ma “queste cose capitano - spiega - e anzi probabilmente ne succedono più di quelle che veniamo a sapere. Le carceri sono un pachiderma, è molto difficile cambiare, migliorare”.

Mette in fila i problemi: dal sovraffollamento alla mancanza di formazione adeguata del personale - “dovrebbe essere formato in altro modo e più a lungo”, dalla scarsità di personale educativo e sanitario alle difficoltà sul fronte recupero sociale fino alla percezione del detenuto da parte della comunità esterna, “che per lo più tende ad allontanarlo, rimuoverlo. Non a caso le carceri sono state spostate fuori dai centri”.

In Italia abbiamo “circa 60mila detenuti - dice -, di cui 10mila pericolosi (criminalità organizzata, delinquenti abituali). Ma gli altri 50mila? Questi sono delinquenti occasionali, persone con problemi di salute mentale, tossicodipendenti, immigrati irregolari. Per gestirli ci vuole personale preparato appositamente e in maniera approfondita, la formazione è fondamentale per riuscire a controllare situazioni (de-escalation) che possono diventare pericolose se non gestite adeguatamente. Non dovrebbe essere il Ministero della Giustizia a occuparsene, ma il dipartimento Affari sociali con le Regioni. Ci sono detenuti che dovrebbero stare in strutture più simili alle comunità terapeutiche che a un carcere”.

Poi, “ci sarebbe bisogno di una commissione composta da psicologi, assistenti sociali e così via che a fine percorso formativo valuta se la persona è idonea o no. È pieno di bravissimi agenti che lavorano bene, con cui ho anche stretto amicizia, ma a volte il detenuto in carcere è considerato alla stregua di un rifiuto. Cosa che, tra l’altro, corrisponde a un pensiero comune dell’opinione pubblica: ‘Hai sbagliato, paghi, non ci interessa cosa fai lì dentro’, senza capire che invece una persona ‘recuperata’ poi dal punto di vista sociale e lavorativo è un vantaggio per la comunità. Ci si guadagna tutti”. C’è un problema di mentalità, quindi, oltre che di risorse, e questo “nonostante abbiamo, a livello locale, una dirigente regionale illuminata, una direttrice e un comandante aperti e disponibili. Ogni anno il provveditore manda le linee di indirizzo e, nel nostro caso, il documento del 2023 si concludeva con diverse pagine contenenti un accorato appello a mettere in campo tutte le risorse possibili per evitare altri suicidi”.

Come? “Reperendo risorse per avere psicologi e criminologi. Quella di noi educatori, lì dentro, è un’attività disperante, ma quando riesci a convincere anche una sola persona su 50 che può fare un’altra vita, ecco, quello è impagabile. Ho visto detenuti impegnati all’esterno sorridere, essere felici per quanto facevano, come quando abbiamo ripulito il campo dopo un concerto: dovevate vedere con che gioia lavoravano, sentendo di restituire qualcosa alla comunità”.

Bisogna “conoscere queste persone - incalza Castagna - ascoltarle. Spesso non cercano altro che riscatto ma si sentono un rifiuto. Un peso. Le carceri dovrebbero essere invase da educatori, medici, volontari, associazioni imprenditoriali e industriali, perché creare lavoro è la prima forma di riscatto. Anche dentro, quelli che lavorano (pulizie, lavanderia, falegnameria) stanno più tranquilli. Ci vorrebbe un documentario, un libro, che dia la parola a quanti provano a rifarsi una vita fuori. E un ruolo importante possono giocarlo anche i garanti dei detenuti”.