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di Michele Passione

Il Dubbio, 14 febbraio 2024

Le immagini di quel pestaggio che fa scempio della dignità umana ci riguarda tutti, oltre l’indignazione. Che dura solo un attimo. 3 aprile 2023, il giorno dell’orrore. Le immagini del carcere di Reggio Emilia, dove dieci poliziotti penitenziari hanno fatto scempio della Dignità dell’uomo e della divisa che indossano, hanno qualcosa di surreale.

Come ne “Les Amants” di Magritte vi è un’assenza di dialogo (manca il sonoro, ma in ogni caso ci sono due mondi distinti e distanti che si incontrano) e uno spostamento di senso in quel che accade, solo che qui ad indossare un cappuccio è una sola persona, detenuta, e non due amanti che condividono un sentimento muto. Un corpo ridotto a pacco, percosso ed esposto nella sua nudità, buttato come un sacco nella cella dalla quale, di li a poco, il sangue scorrerà nel corridoio della sezione, con la forza dirompente del rosso (è uguale per tutti il colore del sangue), come nella sequenza simbolo di Shining. La pornografia di una violenza impudica.

La Dignità segna l’identità dell’uomo; quando la perde è perduto, diventa merce di scarto. Per non perdersi per sempre, per affermare la propria (r)esistenza, quell’uomo si è tagliato, ha sparso il suo sangue redentore. In diritto, un “verificabile trauma psichico”, contorto elemento della fattispecie di tortura, che qualcuno vorrebbe abrogare. Però non si può.

Ricordiamo le parole della Corte costituzionale (sentenza c.d. Regeni): “chiamata a pronunciarsi su una fattispecie segnata dall’irrisolta tensione tra il diritto fondamentale dell’imputato a presenziare al processo, l’obbligo per lo Stato di perseguire crimini che consistano in atti di tortura e il diritto - non solo della vittima e dei suoi familiari, ma dell’intero consorzio umano - all’accertamento della verità processuale sulla perpetrazione di tali crimini”, la Corte ha ricordato che “la tortura è un delitto contro la persona e un crimine contro l’umanità”.

Ci riguarda, insomma, non è solo affare dei soggetti coinvolti, giacché “quando l’indagine riguarda accuse di gravi violazioni dei diritti umani il diritto alla verità sulle circostanze rilevanti del caso non appartiene esclusivamente alla vittima del reato e alla sua famiglia, ma anche alle altre vittime di violazioni simili e al pubblico in generale, che hanno diritto di sapere cosa è accaduto nello statuto eccezionale del crimine in questione, il diritto all’accertamento giudiziale è il volto processuale del dovere della dignità”. Con parole scolpite nella pietra, la Corte ha infine ricordato che “la tortura commessa dal pubblico ufficiale non è reato circostanziato, ma un reato autonomo”.

Vedremo dunque al processo, quale sarà la ricostruzione dei fatti, dei ruoli, delle eventuali responsabilità. Ancora una volta è però la forza delle immagini a sbatterci in faccia la realtà, a consentire di disvelare una certa meccanica del potere, ad impedire che cali il sipario; e tuttavia, quelle scene, quel corpo e quel sangue, in un mondo ormai saturo di immagini, andrebbero messe a tesoro per comprendere le cause dei fenomeni, per agire interventi strutturali, giacché l’indignazione dura un attimo, poi si mette in attesa di altro. Intanto l’udienza è fissata per il 14 marzo.