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di Nicola Bonafini

Il Resto del Carlino, 6 settembre 2023

Tre agenti della Polizia penitenziaria si sono difesi dall’accusa di tortura nei confronti di un detenuto, sostenendo che si tratti al massimo di abuso di mezzi di correzione. La difesa nega le sofferenze fisiche e psichiche necessarie per configurare il reato. “La fattispecie di tortura non è integrata. Al massimo si è trattato di abuso di mezzi di correzione”. È quanto hanno sostenuto ieri, davanti al Tribunale del Riesame, gli avvocati di tre agenti della polizia penitenziaria finiti sott’inchiesta, insieme ad altri undici colleghi, per le condotte verso un uomo allora detenuto nel carcere della Pulce: secondo l’accusa, il 7 aprile, è stato incappucciato, preso a calci e pugni e denudato. I loro difensori - Liborio Cataliotti ne assiste due, Carmen Pisanello il terzo - hanno anche chiesto la revoca delle misure disposte dal gip Luca Ramponi: la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio per un anno e l’obbligo di firma quotidiano.

I legali hanno sostenuto che dai certificati medici non emerge prova delle sofferenze fisiche e psichiche necessarie per configurare il reato di tortura: a loro dire, non sono state constatate ferite all’occhio o al costato. E hanno riferito che il detenuto ha anche rifiutato di sottoporsi a una visita psichiatrica che potesse certificare un eventuale trauma. L’avvocato Pisanello ha poi sostenuto che al suo assistito era stato prospettato di dover intervenire verso un detenuto che aveva ricevuto ben 32 rapporti disciplinari in 22 mesi in tutti gli istituti penitenziari che lo avevano ospitato, per di più alto e corpulento, nonché agitato perché non voleva sottostare all’isolamento.

“Ci sono forse stati eccessi, ma in relazione a un comando a cui il mio assistito doveva adempiere e in una situazione di paura”, ha sostenuto l’avvocato Pisanello. Ci si è poi soffermati su un’altra circostanza: “Quando il detenuto fu lasciato da solo in cella, si tolse qualcosa dalla bocca. Secondo la Procura era un pezzo di ceramica; per noi invece era un frammento di una lametta o di una bombola spray, con il quale lui si autolesionò un braccio per otto volte, procurandosi tagli altrimenti impossibili se non con un oggetto affilato come il metallo”. La difesa ha anche negato, alla luce delle videoriprese, che in quel frangente i poliziotti avessero un’espressione di piacere sadico. I giudici si sono riservati la decisione.