di Lucio Boldrin*
formatrieti.it, 16 ottobre 2024
Mi accingo a scrivervi qualcosa in merito alla realtà carceraria non senza difficoltà e ritrosia e pessimismo perché sono stanco di parole e parole” scrive Padre Lucio da anni ormai cappellano di Rebibbia, struttura che ‘abita’ dalle 8.30 alle 19.30 sei giorni su sette. Non mi soffermerò sui numeri dei suicidi tra i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria, il sovraffollamento e la sempre maggiore crescente mancanza di agenti e del personale medico, paramedico e di persone nell’area educativa, e neppure delle condizioni delle carceri italiane obsolete e carenti a livello igienico. Ne ho sentito parlare e letto ovunque. Penso anche la maggior parte di voi. Ma come vivono i detenuti in molte carceri italiane? Difficile saperlo per me e ancora meno per chi vive di luce riflessa o per sentito dire. Vi dico soltanto che da un po’ seguo su tik tok un ex detenuto che è uscito, libero dal 2018, e che cerca di rispondere alle domande che gli vengono poste sulla realtà carceraria. Vi posso assicurare che in molte risposte lo sento lontanissimo da ciò che ha vissuto e di come è cambiata la situazione carceraria in pochi anni.
La frase che con rassegnazione spesso mi accoglie è: “Lucio, non sai cosa succede di notte…”. E lì muore la frase. In carcere il silenzio e la paura la fanno da padroni sempre di più, tra complicità di altri detenuti e agenti che fanno finta di non sapere accettando le motivazioni: “Sono scivolato in doccia”, “Ho sbattuto contro uno spigolo”, “Sono caduto dalle scale”, “Mi sono fatto male giocando pallone” e via dicendo per giustificare ematomi, fratture o violenze ricevute. Molti detenuti sopportano angherie e minacce temendo il peggio e con la speranza di uscire al più presto.
Vi posso assicurare che il carcere è lo specchio della società: tutto ha un prezzo! E tutto costa di più. Molto di più. Anche la droga e la grappa fatta in cella, anche se vietata, gira in abbondanza. La droga entra attraverso i mezzi “più ingegnosi” e il “dio denaro” la fa da padrone e fa la differenza così come fuori dal carcere. Sia per la possibilità d’acquisto…o per avere i migliori avvocati.
Ci sono detenuti che hanno familiari vicino e possono riceverli a colloquio e avere ricariche di soldi, cibo e vestiario settimanalmente. Chi ha i parenti lontani, gli stranieri (circa il 50 per cento nelle carceri italiane. In maggioranza al centro nord, meno al sud), i tanti clochard, vivono spesso la solitudine più profonda e disperata, anche per la difficoltà di parlare la nostra lingua.
In carcere ci sono persone in attesa del primo giudizio e non sanno nemmeno se saranno dichiarati innocenti o colpevoli. Giovani che entrano con la prepotenza “Io sono io …e tu non sei nessuno” anche verso i detenuti più anziani. Un crescente numero di tossicodipendenti e malati psichiatrici. Persone accusati di reati commessi anni e anni fa con sentenze diventate solo ora definitive. E questo al di là dell’età: ho visto portare in carcere ottantaquattrenni con la salute talvolta cagionevole. Individui che dopo aver commesso degli errori (non parlo di reati gravissimi) hanno trovato nel frattempo la persona giusta, un lavoro, “messo la testa a posto” destinati, per una giustizia tardiva, a perdere tutto e ad essere peggio di come sono entrati. Un carcere che ammala, peggiora anticostituzionale e non aiuta minimamente al recupero della persona. Mi chiedo: è possibile che ciò non venga compreso da chi di dovere?
Il carcere è chiamato a rieducare, oltre che fare scontare una giusta pena, ad aiutare chi ha sbagliato a riprendere una nuova vita sociale. Il reato va punito, ma le persone vanno rispettate. Non esiste solo la carcerazione! E tenere migliaia di persone a oziare per giorni, mesi e anni rischia di trasformare il carcere in una scuola per delinquenti più che in centro di riabilitazione e reinserimento. Per determinati casi sarebbero più utili gli arresti domiciliari: la possibilità che vadano a lavorare e tornino a casa alla sera, abbiano la vicinanza di persone positive e continuino a crescere in ambienti meno degradanti. Ho visto detenuti diventare peggiori, cadere in depressione, spegnere la fiamma della vita e della speranza. Stanchi di combattere contro i muri di gomma rappresentati talvolta dai magistrati o chiedendo il rispetto dei propri diritti.
Detenuti destinati a rientrare in carcere dopo pochi mesi dalla loro liberazione perché al cospetto di una società che li respinge, non dà loro del lavoro, un luogo dove vivere… tornano sulla strada costretti a delinquere per sopravvivere. Poi ci sono gli stranieri, lontani da casa e senza nessuno, aiutati soltanto dai volontari e dai cappellani: arrivati in Italia seguendo l’illusione di una vita migliore e finiti a delinquere, spesso costretti da persone senza scrupoli sotto la minaccia di violenze su loro stessi o sui familiari rimasti nei Paesi d’origine.
Per costoro è difficile perfino spiegarsi, farsi capire, per ragioni di lingua e di cultura, perciò molti sono discriminati anche in carcere. Stranieri in attesa dell’espulsione in qualche CPR (centro d’accoglienza per immigrati), centri che assomigliano a dei veri lager da dove fuggire, scarse le REMS (strutture sanitarie per infermi di mente). Poveri, senza tetto, malati psichici, tossicodipendenti, stranieri: quando usciranno dove andranno? Ritorneranno “invisibili” nelle nostre strade fino al prossimo atto violento. Senza dire dei barboni che torneranno a dormire con i loro cartoni e commettere qualche piccolo reato per tornare in carcere trovando riparo... almeno per l’inverno.
Avverto ogni giorno che passa più tristezza e mi sento sempre più piccolo e incapace di far sentire la mia voce e di tanti “miei ragazzacci” che se aiutati, potrebbero essere una risorsa lavorativa e umana per la nostra società. Mi ripeto: il carcere è sempre più una discarica dove le persone vengo buttate e inascoltate, calpestate nei loro diritti, quelli che invece la Costituzione italiana richiederebbe. Invisibili, autori di reati comuni che scontano pene vivendo in condizioni terribili. Tanto che alcuni arrivano a scelte estreme: qualcuno si taglia il corpo o fa lo sciopero della fame.
Poi dopo due giorni di infermeria, torna però nel proprio limbo. Non tutte le persone che sono nelle carceri sono delinquenti incalliti. Ci sono anche degli innocenti o persone che hanno sbagliato per un periodo limitato della propria vita. Non si può entrare in carcere e uscirne malati o peggiorati. Il reato va punito, ma le persone vanno rispettate”.
*Cappellano del carcere di Roma Rebibbia