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di Francesco Machina Grifeo

Il Sole 24 Ore, 21 aprile 2023

Lo ha ribadito la Suprema corte con la sentenza n. 16570 depositata ieri. Anche se il reato di “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone” previsto dall’articolo 659, primo comma, del cod. pen., nelle more del giudizio di cassazione, è divenuto procedibile a querela, a seguito della Riforma Cartabia (articolo 3 Dlgs 10 ottobre 2022, n. 150), la Corte deve comunque esaminare i ricorsi agli effetti penali.

Lo ha ribadito la Suprema corte, con la sentenza n. 16570 depositata oggi, affermando che non ricorre il difetto della querela richiesta dall’articolo 3 Dlgs n. 150 del 2022, perché, in relazione al reato per cui si procede, sono rimaste ferme alcune costituzioni di parte civile e una delle parti civili ha anche presentato le sue conclusioni in udienza.

Secondo un principio enunciato dalle Sezioni Unite, infatti, “la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione”, e, quindi, “può essere riconosciuta anche nell’atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio”, con la conseguenza che i precisati atti e comportamenti possono ritenersi equivalenti ad una querela nel caso in cui la proposizione di quest’ultima sia divenuta necessaria per disposizioni normative sopravvenute nel corso del giudizio (Cass. n. 40150/2018, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del Dlgs 10 aprile 2018, n. 36, ed ai giudizi pendenti in sede di legittimità).

La Cassazione aggiunge poi che questo principio si collega ad una “consolidata elaborazione giurisprudenziale”. E, “per tutte”, viene citata la sentenza n. 5193 del 2019, relativa a una fattispecie di condanna per appropriazione indebita aggravata (ex articolo 61, n. 11, cod. pen.), delitto divenuto procedibile a querela (ex articolo 10, comma 1, Dlgs. 10 aprile 2018, n. 36), dopo la sentenza di primo grado, in relazione alla quale la Corte ha rilevato che la sussistenza della condizione di procedibilità era desumibile dalla riserva di costituzione di parte civile formulata dalla persona offesa nella denunzia.

La Cassazione chiarisce anche che la parte civile, in linea di principio, è legittimata ad impugnare tutte le sentenze di proscioglimento, e che la stessa, inoltre, ha specifico interesse ad impugnare una sentenza di assoluzione perché, se questa diviene irrevocabile, nei suoi confronti “ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile [...] per le restituzioni e il risarcimento del danno”.

Ne consegue che “deve ritenersi consentito che la parte civile proponga appello avverso una sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado in relazione a reato in quel momento già prescritto per ottenerne la riforma agli effetti civili in sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, e che il giudice, in accoglimento del precisato gravame, decida in conformità con tale richiesta”.