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di Piero Sansonetti

L’Unità, 13 gennaio 2024

Sono riforme modeste, di puro buonsenso. Quello che stupisce è la reazione furiosa di Pm e giornalisti, che temono di perdere diritto alla gogna. La commissione giustizia del Senato sta lavorando di buona lena per produrre alcune piccole riforme alla macchina della giustizia. Niente di clamoroso. Nulla che possa porre riparo alle gigantesche distorsioni che negli ultimi 40 anni hanno deturpato il volto del nostro sistema del diritto. Però piccoli aggiustamenti intelligenti.

Finalmente, dopo avere per un anno intero giocato al vecchio gioco di aumentare il numero dei reati e la gravità delle pene (dal reato di “concerto affollato”, a quello di “eccesso di soccorso”, alle nuove norme per la detenzione dei naufraghi che non hanno violato nessuna legge, al reato universale -come la strage - di fare un figlio con metodi che non piacciono all’oltranzismo cattolico), finalmente la maggioranza ha invertito la rotta e sta provando a introdurre piccole norme garantiste.

L’abolizione di alcuni reati, come l’abuso d’ufficio. Il ridimensionamento di altri reati, come il traffico di influenze. E poi elementari norme che frenano almeno un po’ il ventilatore del fango rappresentato dall’uso selvaggio delle intercettazioni. Non dovete pensare a una rivoluzione, solo a piccole norme di buonsenso. Per esempio è stata votata la proibizione di intercettare e poi di dare ai giornali le veline coi colloqui tra gli avvocati e gli imputati (Credo che il diritto alla riservatezza nei rapporti tra imputato e avvocato fosse garantita persino durante il fascismo). Oppure è stata ipotizzata la proibizione di trasformare in gossip acchiappa-clic (sul web) e acchiappa-copie, quei pezzi di intercettazione che non riguardano l’inchiesta penale e che coinvolgono persone che non sono inquisite.

Capite che uno legge il testo di queste misure e si stupisce del fatto che per ottenere delle condizioni basiche di civiltà sia necessario correggere norme precedenti. Invece le Procure e i loro giornali (guidati da Repubblica prima ancora del Fatto) si indignano. Perché? Perché osservano che in questo modo è un guaio sia per i Pm che per i giornalisti. I giornalisti rischiano di restare senza gossip, che da che mondo è mondo è il motore della macchina della giustizia. E i Pm rischiano di doversi limitare alle indagini senza poterle trasformare in spettacolo mediatico, e quindi senza poter bastonare gli imputati prima che siano condannati. In realtà, vedrete, non sarà così. Perché poi giornalisti e Pm trovano sempre il modo per aggirare gli ostacoli e per abbattere quella che loro considerano una barbarie: la presunzione di innocenza.

Del resto i giornalisti confessano qual è per loro il cruccio. Per esempio la proibizione di tirare in mezzo un politico o una persona celebre, caduta in una intercettazione, che non sia però indagata. In questi casi la cosa funziona così. Si fa un titolo standard che è questo: “Nell’inchiesta su tizio spunta il nome di Caio”. Poi nell’articolo si precisa che Caio non c’entra niente, però il titolo ha risolto il problema fondamentale, quello di ipotizzare (anzi dichiarare) la sua colpevolezza. La parola “spunta” è una parola chiave nel giornalismo moderno. Se si proibisse la parola “spunta” metà del giornalismo giudiziario affonderebbe.

Dunque cosa c’è di positivo in queste piccole riforme? Non molto. Forse solo una cosa: si attenua la possibilità di ricatto sulla politica da parte delle Procure. La politica diventa un pochino meno sotto schiaffo. E le Procure vedono leggermente spuntate le loro armi. Certo che è un fatto positivo. Anche se poi resta tutto il resto del marciume: la mancata separazione delle carriere, la mancata affermazione della responsabilità civile del magistrato che sbaglia, la fine della carcerazione preventiva, la modifica del codice penale con la riduzione di tutte le pene. Per ora che facciamo? Vogliamo accontentarci? No, no, non sarebbe prudente.