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di Enrico Sbriglia*

Il Dubbio, 1 febbraio 2024

Mentre continuavo a pensare al caso “Zuncheddu”, riponendo una scatola aperta contenente dei libri, sullo scaffale di una delle tante librerie che, come mute sentinelle, vegliano la mia casa, ho scorto un libro di qualche anno fa, prematuramente ingiallito (Pacini Editore, 2016), “Lettere a Francesca”, di Enzo Tortora. Sono quelle che Enzo, da detenuto innocente, scrisse alla compagna, Francesca Scopelliti. Il libro mi era stato donato da un amico che non c’è più, l’Avv. Sen. Antonino Caruso, già Presidente della Commissione Giustizia, il quale, in quella veste, sostenne convintamente, divenendo per me una sorta di nume tutelare, la proposta di legge sulla dirigenza penitenziaria, nominata “Meduri”, dal nome di un altro senatore, primo firmatario della stessa.

Il Presidente Caruso, che apparteneva al gruppo di Alleanza Nazionale, la seguì passo dopo passo, fino alla sua approvazione in legge. La “Meduri” si prefiggeva di riconoscere l’importanza del lavoro dei direttori penitenziari, chiarendone la specialità professionale nel mondo del Pubblico Impiego; allora, come purtroppo accade ancora oggi, i direttori penitenziari erano sottoposti ad un sistema organizzativo il cui vertice era, sostanzialmente, in mano alla magistratura, di regola quella inquirente, e tale circostanza si percepiva nel modo attraverso il quale il carcere veniva di fatto modellato, stridendo agli occhi di tanti, i miei compresi.

Ad ingarbugliare il sistema, inoltre, già da qualche tempo aveva preso piede anche quella che risulta essere una singolare maniera di porsi di un certo sindacalismo della polizia penitenziaria, ove la libertà di esprimere le proprie idee può spingersi fino a mostrare non solo resistenza, ma addirittura contrarietà nell’accettare, seppure con le dovute accortezze e prudenze securitarie, quello che risulti essere il costante orientamento della Corte Costituzionale in tema di pena rieducativa, ben diversa da quella vendicativa o, semplicemente, retributiva, contrariamente a quanti, dall’esterno, senza conoscere il carcere, invece pretenderebbero.

Eppure, a ben osservare, le pronunce del Giudice delle leggi, proprio perché rispondenti a principi pure universalmente riconosciuti, non sono soltanto un imperativo per l’Ordinamento italiano e le sue istituzioni, comprese ovviamente le FFOO, ma rappresentano anche il portato e la contaminazione che viene da quella Europa che si riconosce negli stati democratici e che rispetti gli obblighi derivanti da trattati e convenzioni sovranazionali.

Ricordo che il libro lo lessi tutto di un fiato, ma con un senso di pudore, perché era come se entrassi, senza permesso, in una tragica storia familiare, però a ben vedere, il nucleo interessato alla vicenda non era solo quello “Tortora Scopelliti”, bensì l’intera comunità del “Condominio Italia”, perché il dramma narrato e vissuto dall’autore poteva accadere a chiunque e dovunque.

Ricordavo bene la storia di Enzo Tortora, perché ero entrato a far parte dell’amministrazione penitenziaria circa sei mesi prima del suo arresto. Ammetto che erano anni terribili quelli: si combatteva una delle peggiori guerre di camorra, quest’ultima divisa in due gruppi egemoni, la Nuova Camorra Organizzata e la Nuova Famiglia; i morti si contavano a decine e, a quelli, andavano aggiunti i tanti ammazzati dal terrorismo, non ancora debellato. Tutto questo, però, non avrebbe mai dovuto e potuto giustificare il venir meno dei principi di legalità propri di qualunque “giusto processo”.

Tra le pagine del libro ho ritrovato un biglietto vergato a mano; lo rileggo, trattenendo la commozione: “S. Natale 2016 Enrico caro, è storia di anni fa, riportata a giusta memoria dall’amica Francesca Scopelliti che, meno di altri, ha cancellato. Buona lettura, e tanti auguri cari a te, ad Elsa e ai ragazzi. Antonino” “Caro Antonino”, gli vorrei dire, “la tua assenza si sente; molte cose che oggi accadono, probabilmente, da Te, che credevi in una destra democratica e nello Stato di diritto, sarebbero state stigmatizzate e le avresti combattute senza cedimenti”.

La Storia, ormai è noto, non ha mai un andamento lineare e spesso occorre mettere in conto che possano esservi battute d’arresto se non, addirittura, delle disastrose contromarce. Ma è dovere di tutti provare a fare quel che si deve, non limitandosi a quel che si può: in questa partita destra o sinistra pari sono. Concludo riportando un passo del libro, eloquente: “… perché niente, Cicciotta (è il modo con il quale, confidenzialmente si rivolgeva alla compagna), è paragonabile all’angoscia di chi vive, innocente, questa condizione. Ho conosciuto fascisti, nazisti, la guerra. Eppure, ti giuro, erano cose “comprensibili”: avevano un fondo razionale e atroce. Qui, c’è solo l’atroce. Ma ora basta, Ti bacio Enzo”.

Sì, meglio finire con un bacio. Ad esso aggiungerei, però, un abbraccio, che indirizzerei alla famiglia di Antonino, a quella di Enzo Tortora ed a quelle delle migliaia di disgraziati che hanno patito uguali sfortune per i propri cari, detenuti da innocenti.

Ma aggiungerei anche l’amica Irene Testa, Garante Regionale delle Persone Detenute della Sardegna, per le battaglie che continua ad ingaggiare in modo pragmatico, cadenzato, conseguendo risultati. Infine, ma non da ultimo, a quell’agnello immolato sull’ara della giustizia che si chiama Beniamino Zuncheddu. La circostanza che oggi il nostro premier sia una donna, Giorgia Meloni, a prescindere da ogni empatia politica, potrebbe essere percepita come un segnale positivo: da qualche parte Dike sarà nascosta, ma dovrà pur venir fuori; bello se, soffiando nell’orecchio di chi governi, suggerisca l’esigenza, non più rinviabile, di mettere per davvero mano sui temi della giustizia e delle carceri, prima che tutto sprofondi irrimediabilmente. Da italiano e cittadino europeo insieme, mi piace pensare che interverrà.

*Penitenziarista, Coordinatore Nazionale della Dirigenza Penitenziaria di diritto pubblico della Fsi- Usae (Federazione Sindacati Indipendenti dell’Unione Sindacati Autonomi Europei)