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di Dacia Maraini

Corriere della Sera, 7 marzo 2023

Ma perché un uomo che consapevolmente decide di lasciare un mondo troppo doloroso e infelice deve trasferirsi in Svizzera per morire con dignità? Un caro amico, bravissimo scultore del legno, mi ha scritto da Berna dove è andato per darsi una morte dolce. Un breve messaggio di addio. A cui ho subito risposto cercando di dissuaderlo: “Sebastian, anche se sei malato e non hai più voglia di vivere, pensa che potresti ancora ridere; non è bello ridere insieme? Potresti bere un caffè e sentirti pronto ad affrontare una giornata anche difficile”. Ma mentre gli scrivevo ho capito che stavo dicendo delle sciocchezze. Sebastian Schadhauser, tedesco innamorato dell’Italia, ha avuto una vita difficile: il padre ucciso in guerra, la madre morta recentemente, la seconda moglie italiana con l’Alzheimer non lo riconosceva più, un tumore lo stava distruggendo, tutto questo gli aveva tolto il piacere di vivere, anche se non era all’ultimo stadio della malattia.

Mi ha scritto Margarethe von Trotta che gli era molto amica, raccontandomi che avrebbero dovuto vedersi presto. L’aveva trovato sereno al telefono.

“Anche l’amico che lo ha accompagnato mi ha detto che era tranquillo, anzi scherzava. Non aveva dubbi”. Eravamo tutte e due sorprese di questa sua scelta che non aveva comunicato agli amici fino all’ultimo momento. Ma perché un uomo che consapevolmente decide di lasciare un mondo troppo doloroso e infelice deve trasferirsi in Svizzera per morire con dignità? Ricordiamo che fino a meno di un secolo fa il suicidio era considerato un reato.

L’idea nasce da una religione che ritiene la vita una proprietà divina di cui l’uomo non può disporre. Per alcune nazioni islamiche è ancora un reato. In Europa ormai in quasi tutti i Paesi il suicidio è considerato un diritto. Ma in Italia rimane un tabù. Non che sia reato per la legge (anche perché sarebbe difficile condannare un morto), ma praticamente è come se lo fosse, perché viene punito l’amico/l’amica che si tenga vicino chi vuole togliersi la vita.

Il caso Cappato insegna: un uomo che per fare approvare una legge civile si espone e si autodenuncia accompagnando in Svizzera persone malate terminali o talmente infelici da non sopportare più la vita. Certo, si deve fare di tutto per dissuadere da una tale crudele decisione, ma bisogna anche avere rispetto per chi ha deciso, come Socrate a suo tempo, come Virginia Woolf, come tante altre persone serie e non devastate da malattie mentali, del proprio futuro.