sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Alessandro Dell’Orto

Libero, 2 settembre 2023

Stefano Giampaolo Conti ha 38 anni ed è rinchiuso da dodici mesi, in attesa di un processo, nel carcere di massima sicurezza La Joya di Panama, uno dei più duri e infernali del mondo. Sporcizia, scarafaggi, topi, violenza, armi, acqua solo per un’ora al giorno e zero privacy in un’unica cella condivisa con altri 25 detenuti. È accusato di tratta di persone con fini sessuali e rischia dai 20 ai 30 anni, si proclama innocente e anzi incolpa la procura panamense di cospirazione. È stato arrestato la scorsa estate, mentre era su un aereo pronto al decollo per il Costa Rica, e la sua vita da sogno è improvvisamente diventata un incubo: da trader di successo - viaggi, feste, lusso, dollari facili e belle donne - a presunto criminale. Stefano, brianzolo che prima di stabilirsi a Panama cinque anni fa ha girato il mondo, ci racconta la sua storia dal carcere - al telefono, con una connessione internet improvvisata e traballante -, denunciando condizioni inaccettabili e chiedendo di essere trasferito in una prigione più umana. In attesa del processo.

Stefano, che ore sono lì a Panama?

“Le quattro di notte, siamo indietro sette ore rispetto all’Italia. Approfitto di questo momento in cui gli altri sono tutti fermi per sperare di avere una connessione internet più stabile e riuscire a parlare”.

Scusi, ma come è possibile avere un telefono e la rete in carcere?

“Le guardie si fanno corrompere e, a pagamento, portano di tutto, anche pistole per 1.000 dollari e kalashnikov per 1.500. Con 600 dollari invece si riescono a recuperare vecchi smartphone. Io ne ho due: uno lo utilizzo come router, con l’altro parlo. Si tratta solo di trovare il posto in cui c’è più segnale, perché siamo isolati e il penitenziario utilizza antenne disturbatrici per impedirci di comunicare. E perché spesso i detenuti fanno arrivare da fuori armi e droga con i droni connessi a internet”.

Lei dove è ora?

“Nello spazio del mio vicino, lì c’è il punto migliore per connettersi. Gli ho dato 2 dollari per ospitarmi questa notte e lasciarmi parlare”.

Come è la cella?

“Uno stanzone unico, sarà 60 metri quadrati o più. Siamo in 26 e ognuno separa la propria area, che noi chiamiamo bunker, con un lenzuolo per avere più privacy. Io no, preferisco lasciare tutto aperto. Con altri teli appesi al soffitto, invece, facciamo piccole mensole per gli oggetti”.

Il carcere è quello de La Joya, uno dei più duri al mondo...

“È fuori città, sul cucuzzolo di una collina abbandonata, e ospita 25mila detenuti. Sono tre edifici: il “gioiellino”, il “gioiello” e il “grande gioiello”, l’ultimo costruito 9 anni fa e riservato solo agli stranieri. È quello in cui sono rinchiuso io: sono cinque settori in blocchi di cemento, in ogni settore una piccola finestra, due docce, due soli vecchi water per 26 persone e sporco ovunque. Non vedo il sole da mesi. E convivo con scarafaggi, topi, insetti, sanguisughe”.

C’è l’aria condizionata?

“Scherza? Qui fa un caldo infernale: a Panama la temperatura media è di 32 gradi con un’umidità del 90%. Per fortuna sono riuscito a comprarmi un ventilatore”.

La giornata tipo?

“Io passo il tempo al telefono e riesco a lavorare a distanza come trader, ho due ragazzi in città che mi aiutano a gestire l’attività. Il cellulare mi ha salvato dal suicidio: senza contatti col mondo esterno non ce l’avrei fatta ad andare avanti. Gli altri detenuti giocano a carte, a dadi, bevono e si ubriacano con un distillato che producono qui a base di arance”.

Ci sono altri italiani?

“Sono l’unico. Tutti mi chiamano Italia, è il mio soprannome”.

Con il cibo come fa?

“Portano un riso non setacciato pieno di sassi, un pollo che noi chiamiamo “esploso” perché in pezzi minuscoli e un pollo fritto. Quest’ultimo è stranamente buono e mi ricorda quello che mangiavo a casa: pago sempre un cuoco per averne di più. Il resto lo si compra di nascosto. Il vero problema è che c’è pochissima acqua per bere e lavarsi. È disponibile solo per un’ora al giorno e facciamo rifornimenti con i secchi. Quando finisce, usiamo bustine di thé diluite con la pioggia. Meglio di niente”.

Quali sono l’odore e il rumore che contraddistinguono questo inferno?

“La puzza delle ciotole di cibo quando vengono lavate e la musica colombiana”.

Stefano, sta raccontando di condizioni igienico-sanitarie allucinanti. Difficile non ammalarsi...

“Ho la scabbia da settimane e tanti altri problemi della pelle, ma qui non esistono né un medico né un’infermeria. Se hai dei disturbi ti devi arrangiare. Io sono riuscito a recuperare qualche pomata, ma è dura”.

E le guardie non dicono niente?

“Quali guardie? Ci sono, ma sono fuori dall’edificio. Entrano e fanno incursioni solo in caso di disordini. Vuole sapere cosa è successo dopo poco che ero qui?”.

Dica...

“Vicino a me, durante la notte, è stato sgozzato un detenuto per un regolamento di conti. L’hanno portato via solo la mattina successiva su una carriola - la loro ambulanza - con la testa tranciata quasi completamente a penzoloni. Una volta invece una guardia è stata uccisa a colpi di kalashnikov. Ogni venti giorni arriva l’esercito: 500, 1000 soldati che ci fanno distendere o inginocchiare nel cortile uno sopra l’altro, poi entrano e devastano tutto con il flessibile in cerca di droga, armi, telefoni. Una volta mi sono attardato a uscire e mi hanno stordito col gas al peperoncino. E sa cosa è successo pochi giorni fa?”.

Cosa?

“È morto un detenuto perché gli hanno sparato troppo gas. Il motivo? Era semplicemente ubriaco”.

Lei è stato arrestato il 15 agosto 2022 e dopo più di un anno è in carcere in attesa di giudizio. L’accusa è pesante: tratta delle persone con fini sessuali...

“Sono ancora sotto indagine, rischio tra i 20 e 30 anni. Ora sto preparando una denuncia di cospirazione nei confronti della Fiscalia, la procura di Panama: hanno inquinato le prove processuali, occultato documenti che smentivano le accuse, prodotto falsi testimoni, manipolato persone vulnerabili per ottenere false accuse”.

Ma lei è innocente?

“Assolutamente sì. Sono venuto a Panama cinque anni fa dopo aver girato il mondo due volte senza aver mai avuto problemi.

Ma qui è tutto diverso, è un posto particolare che va conosciuto e capito: non c’è turismo per famiglie, ma sessuale. Mi sono stabilito a Panama perché il dollaro agevolava la mia attività di trader e perché attratto dall’apparente libertà del posto. Arrivavo da un divorzio complicato e qui ho trovato la bella vita, soldi e donne. Fermarmi a Panama è stato l’unico mio errore”.

Perdoni la domanda secca. Cosa intende con belle donne?

“Non mi vergogno a dirlo: escort. Qui la prostituzione è legale, ci sono bordelli ovunque, addirittura due nella piazza più turistica del centro. Io avevo disponibilità economiche e mi accompagnavo con ragazze a pagamento ogni giorno, anche due volte al giorno”.

E da cosa nasce l’accusa?

“Ho prestato soldi a una ragazza che poi si è dichiarata escort e ho aiutato due tizi colombiani ad affittare appartamenti pensando che sub-affittassero le camere solo per guadagnarsi da vivere. Non sapevo che ospitavano prostitute e ci facevano un business, peraltro legale a Panama. Loro sono vittime come me, ma hanno accettato tutto passivamente, non hanno avuto la voglia e la forza di difendersi. Ce l’ho con loro due perché non mi sono stati di aiuto nella difesa, anzi. Mi hanno fatto dipingere come il boss”.

Sono in carcere anche loro?

“Macché. Hanno ottenuto i domiciliari: quei due, senza documenti e senza soldi per mantenersi, sono fuori e io sono l’unico dentro”.

A lei non hanno mai permesso di andare a casa?

“La mia richiesta è stata accolta il 24 febbraio scorso dal giudice, che ha disposto i domiciliari”.

E poi cosa è successo?

“Che hanno immediatamente fatto ricorso e così dopo soli otto giorni c’è stata una nuova udienza, questa volta con tre giudici che mi hanno tolto i domiciliari all’unanimità. E sa chi è venuto personalmente ad accusarmi?”.

Chi?

“Emeldo Marquez, un pubblico ministero qui molto famoso, uno che va sempre in televisione (si occupa del caso Ricardo Martinelli, l’ex presidente di Panama accusato di riciclaggio di denaro n.d.r.). Si è scomodato per me...”.

Sì, questo effettivamente è un po’ strano.

“Ma qui a Panama funziona tutto in modo strano, hanno un concetto tutto loro della legge e della giustizia. Le faccio un esempio: negli uffici del carcere c’è esposto un grande cartello che dice: “Non è compito del carcere riabilitare i detenuti”. Capisce?”.

Stefano, in attesa del processo ora cosa chiede?

“Che intervenga l’Ambasciata italiana, almeno per essere spostato in un’altra prigione più umana, in cui si possa vivere in condizioni accettabili”.