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di Don David Maria Riboldi*

La Prealpina, 23 novembre 2023

Da oggi tutti chiusi. Nel carcere di Busto arriva, come ogni dove in Italia, la chiusura delle celle di cui dieci anni or sono si dispose l’apertura, per allargare gli spazi detentivi dall’angusta camera di pernotto al corridoio. Era una misura pensata non per tutti, ma per quanti ritenuti meritevoli, dopo un periodo di osservazione. La circolare del luglio 2022 non lascia scampo né grandi spazi di manovra ai direttori, che si trovano, loro malgrado, a gestire un ritorno al passato alquanto sgradevole per quanti si erano abituati a un range detentivo di maggiore socialità. Una socialità destrutturata, spontanea, non soggetta a una programmazione o a un controllo organizzativo. Niente più “vasche” nel corridoio, avanti e indietro, per stancare un po’ quel corpo che la notte non ne vuole sapere di dormire. Niente più chiacchierate, se non su appuntamento, dietro domandina, o alle sbarre delle celle, con le braccia appoggiate al ferro. Niente più disordini, diranno i sostenitori di questo regime, ma l’esperienza insegna che i cosiddetti eventi critici possono accadere ovunque e non mi pare ci sia una statistica che testimoni a favore delle celle chiuse, per essere al riparo da problemi disciplinari.

Torna il leit motiv delle caserme dismesse: un usato garantito, che qualcuno suggerisce a ogni ministro di dire. Credo solo la Cartabia non abbia ceduto a questo tranello, perché sapeva benissimo quanto sarebbe fallimentare e irrealizzabile l’avvio di nuovi penitenziari. E perché ha dichiarato più volte come la via per uscire dal sovraffollamento non fosse tanto la costruzione di nuove carceri, ma un’applicazione più intensiva di misure alternative, che offrono un risultato statisticamente apprezzabile in termini di riduzione di recidiva di reato. Non si è accontentata di dirlo: la riforma che porta il suo nome prevede infatti un allargamento di possibilità alternative alla detenzione, con le pene sostitutive, irrogabili direttamente dal giudice della cognizione. Nel mio piccolo, posso dire che nella Cooperativa Sociale La Valle di Ezechiele, con sede nel carcere, abbiamo accolto 24 persone dal novembre 2020 e nessuno di loro risulta abbia commesso nuovi reati. Funziona! E non a caso fu la Ministra Cartabia a inaugurarla, il 25 ottobre 2021.

Tra l’altro suona curiosamente intempestiva questa chiusura. Dieci anni fa esatti l’Italia venne condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a seguito di un’istanza partita proprio dal penitenziario bustocco. La sentenza prenderà il nome Torreggiani dalla persona detenuta che sporse denuncia, proprio per gli spazi angusti in cui riteneva di essere stato ristretto. In via per Cassano al 102. Il nostro paese venne riconosciuto colpevole di trattamenti inumani e degradanti. Dovette correre ai ripari e scarcerare, il più alla svelta possibile: immagino senza il tempo di costruire percorsi oculati di reinserimento sociale. Si aprirono quelle celle, che oggi tornano chiuse. perché la detenzione fosse intesa nel recinto della sezione, non solo della cella. Ora, ai tempi della Torreggiani le persone recluse in Italia erano 66.000, su circa 50.000 posti di capienza ufficiale. Ora stiamo sfiorando i 60.000, ma, senza essere dei geni in matematica, possiamo immaginare che quel numero non sia così lontano, se prosegue il trend in corso.

All’inizio del 2020 eravamo a quasi 60.000. Il Covid fece la sua parte e, di lì a un anno, si scese a 50.000. In due anni siamo tornati diecimila in più: quanti mesi mancano per arrivare al ‘livello Torreggiani’? Diranno alcuni: beh, ma se i reati li commettono, non è certo colpa di chi li arresta. Anche qui avrei qualcosa da obiettare. Tolto il 2021, il numero di reati in Italia cala costantemente da 10 anni a questa parte. “Secondo una ricerca del CENSIS dello scorso dicembre 2022, il numero di reati denunciati sono circa 700.000 in meno di quelli denunciati nell’anno 2012 (2.104.114), con un decremento pari al 25,4%. Gli omicidi volontari passano dai 528 del 2012 ai 304 del 2021. Le rapine sono diminuite nel periodo 2012-2021 da 42.631 a 22.093, quasi la metà. Stesso trend per i furti in casa e i furti d’auto”. Così il Procuratore Generale della Corte Suprema di Cassazione nella sua relazione sulla criminalità in Italia, a inizio 2023. Trovate tutto su Internet. Quindi ci troviamo nell’ossimoro per cui il numero di reati scende, mentre il numero delle persone recluse sale. E vengono pure ristrette in camere di pernotto dove non si pernotta soltanto. Dove magari dovrebbero starci da soli e invece vi si trovano in due, magari in tre: basta aggiungere brande a castello. È così che da 240 posti di capienza ufficiale si superano le 430 persone detenute. Come oggi a Busto Arsizio.

Dicono che le chiusure dovrebbero favorire la partecipazione alle proposte formative e di lavoro che si moltiplicheranno in Istituto, restando l’unica strategia per uscire di cella. La nuova Direttrice ha sicuramente dato una svolta in materia, in questi pochi mesi dal suo arrivo, e ha radunato tutti, per fare squadra nell’offrire proposte di occupazione e valorizzazione del tempo detentivo. Le proposte sono aumentate visibilmente. Ma anche lei non può fare miracoli. Le aulette di scuola sono quelle che sono: non si possono allargare, per ospitare più persone. Il dentro/fuori tipico di una Circondariale non agevola la progettazione di percorsi, che i tempi giuridici potrebbero far saltare o neanche far partire. Ciò nonostante grandi energie si stanno mettendo per dare significato a un tempo vuoto, che gli spazi da oggi ancor più ristretti fanno sentire più compressivo.

Voglio mandare un grande abbraccio a tutti gli amici in via per Cassano. Non attendiamo un altro Torreggiani, però: mentre si chiudono le celle, apriamo le porte della nostra collettività bustocca e varesina, generando un tessuto sociale pronto ad accogliere e avviare nuovi percorsi di vita, che non facciano uscire le persone più incattivite di come siano entrate.

*Cappellano del carcere di Busto Arsizio