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di Giusy Santella

mardeisargassi.it, 31 agosto 2022

Siamo a marzo 2020. La nostra vita sta per cambiare. E non solo la nostra, che abitiamo case calde che tra poco diventeranno il porto sicuro in cui rifugiarci, ma anche quella di chi una casa vera non ce l’ha. O, meglio, dovrebbe averla perché sotto la custodia dello Stato, ma per cui quelle quattro mura - addobbate con grate - saranno molto meno rassicuranti. La prima rivolta scoppia nella casa circondariale di Salerno, per poi diffondersi a cascata in ventidue istituti penitenziari: si contano numerosi feriti tra la popolazione detenuta e il personale, perdono la vita tredici reclusi. Per loro vengono sprecate ben poche parole.

I giornali si riempiranno di titoli che insinuano una regia criminale, una cospirazione per far evadere i detenuti - cosa in realtà avvenuta nel solo carcere di Foggia - e un coordinamento tra i reclusi dei vari istituti. Nessuna di queste supposizioni - dopo che tutti, politici compresi, se ne sono riempiti la bocca - è stata ritenuta provata da un’apposita commissione ispettiva istituita con il fine di accertare l’origine dei disordini, in particolare alla luce dei gravissimi fatti verificatisi nel mese successivo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, per i quali sta proseguendo il relativo processo.

Simili eventi hanno infatti posto inquietanti interrogativi sulla sicurezza nelle carceri, sulla possibilità di affrontare il contagio al loro interno - i casi di positività registrati sono stati in effetti moltissimi - ma, soprattutto, sulla legittimità dei comportamenti del personale penitenziario in quelle occasioni.

Nonostante sia stata da più parte sottolineata la tardività dei soccorsi - e, al contrario, i fin troppo tempestivi trasferimenti punitivi effettuati dopo le rivolte, senza svolgere le necessarie visite mediche e prestare le cure a chi ne avesse la necessità, così come i numerosi comportamenti violenti perpetrati - un grande silenzio è calato sulle vite stroncate in quelle ore tra l’8 e il 9 marzo 2020, quando il numero delle vittime cresceva ogni minuto di più, portando con sé superficiali giudizi che si sono rincorsi sui quotidiani per giorni.

Con la relazione diffusa dalla Commissione ispettiva presieduta dal procuratore Sergio Lari, si è tentato di ricostruire i fatti, attraverso la raccolta di testimonianze e di dati, seppur solo parzialmente poiché trattasi di un’ispezione tutta interna. Si legge: Stando alle testimonianze acquisite, le cause principali che hanno spinto i detenuti a scatenare la rivolta, sono state la paura del contagio alimentata dal sovraffollamento, il timore della sospensione dei colloqui in presenza con i familiari e la speranza di ottenere provvedimenti di clemenza o di maggiore accesso ai benefici penitenziari.

Tali preoccupazioni vengono poi esplicitate in una serie di richieste che la stessa popolazione detenuta - prima tra tutte quella del carcere di Fuorni - sottopone all’amministrazione penitenziaria per iscritto, nel cosiddetto papello, chiedendo appunto tamponi ai singoli detenuti, di poter comunicare con la propria famiglia tramite video, un’assistenza immediata a chi soffre di particolari patologie. Le notizie riguardanti il contagio, infatti, sono oramai su tutti i quotidiani e i tg nazionali e locali, senza che però tale risalto mediatico sia accompagnato da adeguate misure di informazione da parte dell’amministrazione penitenziaria per la delicata condizione delle persone recluse.

Certo, è stata un’emergenza per tutti, in parte inaspettata e difficile da gestire, ma non si può negare che l’interno delle mura carcerarie rappresenti ancora un mondo separato dalla realtà esterna, soggetto a un filtro che in quell’occasione è stato una delle principali ragioni dell’esplosione. Quest’ultima altro non è che espressione della forza bruta e violenta su cui sembra reggersi l’intero universo penitenziario, in cui i rapporti di potere e gli equilibri - se di equilibri si può parlare - sembrano reggersi sulla sola regola primitiva del più forte che schiaccia il più debole.

Si trattava quindi di paura di essere abbandonati che, del resto, non si è rivelata così infondata se si pensa ai provvedimenti adottati dal governo, insufficienti e del tutto inidonei ad affrontare l’emergenza per ciò che questa rappresentava.

A proposito del papello si legge ancora: Deve escludersi che tale documento sia stato il primo passo di una strategia concordata ai più alti livelli o suggerita dall’esterno. E, riferendosi alla prima rivolta in particolare, essa è avvenuta esclusivamente su iniziativa di una parte della popolazione detenuta appartenente alla criminalità medio-piccola ed è stata scatenata da un insieme di fattori che possono sintetizzarsi: la paura dei detenuti che l’epidemia causata dal Covid-19 potesse dilagare all’interno dell’istituto favorita dal sovraffollamento e dalla carenza di presidi sanitari adeguati, il timore provocato dalle notizie circolanti […] sull’imminente adozione di un decreto ministeriale che avrebbe previsto la sospensione dei colloqui in presenza con i familiari fino al 31 maggio 2020, se non oltre; infine la speranza che, mettendo in crisi le strutture penitenziarie […] si potessero ottenere benefici legislativi e penitenziari.

Gli stessi sentimenti di malessere erano già stati registrati anche in altri istituti, in particolare nel Nord Italia dove l’emergenza aveva fatto capolino prima, senza però essere adeguatamente presi in considerazione dall’amministrazione penitenziaria, dimostratasi indifferente alle sorti della popolazione detenuta. Si tratta del resto dello stesso malessere che quest’anno ha già mietuto cinquantotto vittime, detenuti suicidatisi in soli otto mesi. Un dato allarmante se si considera che ha già superato quello dell’intero scorso anno: quattordici solo nel mese di agosto (l’estate ha da sempre rappresentato un periodo critico per gli istituti di pena, per la carenza di personale e attività trattamentali, oltre che per il caldo torrido), uno ogni due giorni. O, meglio, un dato che dovrebbe essere allarmante se abitassimo davvero un Paese civile così come professano i nostri rappresentanti politici, che però conoscono la sola legge del taglione e della vendetta.