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di Niccolò Carratelli

La Stampa, 29 settembre 2023

L’ex presidente della Camera: “La decisione della Consulta ci rende felici. Lo Stato ha il dovere di pretendere giustizia, a costo di scontentare Al-Sisi”. Quando Roberto Fico ha saputo della sentenza della Corte costituzionale, che ha sbloccato il processo Regeni, ha provato “una sensazione di vera felicità, mi sono emozionato, perché c’era bisogno di una decisione profondamente giusta”. Da presidente della Camera, l’esponente del Movimento 5 stelle è sempre stato in prima linea a fianco dei genitori di Giulio per chiedere verità e giustizia: “Se si è arrivati a questo risultato è grazie a loro e all’avvocato Ballerini, che non hanno mai mollato, nemmeno per un secondo - dice Fico - il fatto che il processo agli agenti egiziani vada avanti è un qualcosa che ridà dignità al nostro Paese”.

C’è questo in gioco? Forse non tutti se ne sono resi conto fino in fondo…

“È una questione di Stato. Tutta l’Italia deve pretendere giustizia per un proprio cittadino, un giovane ricercatore, torturato e ucciso in Egitto. Questo desiderio di giustizia deve essere avvertito da tutte le istituzioni, che devono lavorare in modo importante e serio per raggiungere l’obiettivo”.

Così non è stato? In questi anni la politica non ha fatto abbastanza?

“È un discorso complesso. La politica ha anche dato il via, nella scorsa legislatura, a una commissione parlamentare d’inchiesta, che credo abbia fatto un lavoro proficuo. D’altra parte, i governi hanno sempre affrontato questa vicenda con grande difficoltà, guardando alle strategie geopolitiche, alle relazioni economiche con l’Egitto, in particolare nel settore dell’energia. Il tema di fondo è porre a ogni tavolo, con tutti i Paesi con cui si hanno relazioni, la questione del rispetto dei diritti umani e delle libertà personali”.

La decisione di andare avanti con il processo ora potrebbe rendere più complicate le relazioni con le autorità del Cairo, non crede?

“Sono convinto che gli egiziani le proveranno tutte per ostacolare il procedimento e impedire che si arrivi a una sentenza. Mi aspetto che il nostro governo supporti con forza l’azione dei magistrati, affinché il processo si svolga regolarmente e in tempi ragionevoli. Anche se questo significherà intrattenere rapporti meno cordiali con il regime di al-Sisi”.

Cosa vorrebbe dire arrivare a una sentenza di condanna, anche se gli assassini di Regeni non sconteranno mai la pena?

“Facciamo un passo alla volta, celebriamo questo processo, diamo un segnale forte all’Egitto. Arrivare a una condanna avrebbe un significato enorme e, a quel punto, vedremo come questa peserà nelle relazioni bilaterali. Cosa succederà nel momento in cui le autorità egiziane continueranno a proteggere i loro agenti condannati da un tribunale italiano. Anche per questo la decisione della Corte costituzionale, a mio avviso, ha una portata davvero storica”.

Perché ha aperto una crepa nel muro di omertà eretto dal governo egiziano?

“Perché ha permesso di superare un paradosso: le corrette garanzie previste per gli imputati non potevano prevalere sul diritto dei familiari di un ragazzo torturato e ucciso ad avere giustizia. È una questione di democrazia, non potevamo permettere che l’ostruzionismo di un Paese straniero impedisse alla giustizia italiana di fare il suo corso”.

Qualcuno, anche ai piani alti della politica, forse sperava che il processo si fermasse del tutto, in nome della realpolitik…

“Mi auguro di no. Verità e giustizia per Giulio non devono essere solo parole, ma un impegno concreto. Io continuo a pensare che non si possano avere relazioni normali con l’Egitto, con un regime che non ha mai collaborato, anzi ha ostacolato in ogni modo l’accertamento della verità sulla morte di Regeni. E che reprime le opposizioni e non rispetta lo stato di diritto. Guardi, questa non è una storia di famiglia e nemmeno una storia solo italiana”.

Pensa ai silenzi a livello europeo?

“Se l’Italia non è stata abbastanza forte, è anche perché in questi anni è stata lasciata sola, perché altri Paesi europei hanno preferito curare i propri interessi in Nord Africa, dove l’Egitto ha un ruolo strategico. L’Unione europea non può girarsi dall’altra parte di fronte alle violazioni dei diritti umani. Non può non far sentire la sua voce davanti all’uccisione di un giovane cittadino europeo, che purtroppo è solo una delle tante vittime di quel regime. Questa è una battaglia che riguarda tutti, perché ha a che fare con la sicurezza di tutti noi”.