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di Flavia Fiorentino

Corriere della Sera, 12 aprile 2022

Tre detenuti lavorano nella falegnameria interna. Il direttore Andrea Piccioli: “Un’ esperienza umana e d’inclusione sociale che arricchisce tutti noi”.

Lucidano tavoli, riparano cassetti e aggiustano i ripiani di una vecchia libreria. Ma ciò di cui si sentono più orgogliosi è l’incarico di restaurare la sirena d’allarme di San Lorenzo, quella che suonò prima del bombardamento del luglio 1943.

Sono Antonello, Pasquale e Gennaro, tre detenuti del carcere di Rebibbia che, grazie a un nuovo programma dell’ordinamento penitenziario e alla disponibilità dei vertici del carcere romano verso percorsi di reinserimento lavorativo, sono stati assunti per un anno all’Istituto Superiore di Sanità in viale Regina Elena.

Hanno ridato vita alla storica falegnameria - racconta Mirella Taranto, dipendente della direzione generale a cui sono stati affidati i detenuti - e stanno dimostrando grande abilità artigianale, tanto che abbiamo chiesto loro di occuparsi anche di alcune strutture in legno della sala dei Nobel, come le scale per raggiungere i piani alti degli armadi dove sono conservati preziosi oggetti scientifici, alcuni appartenuti a Enrico Fermi e Rita Levi Montalcini. E presto si occuperanno della sirena che verrà poi collocata nel nostro giardino interno. Non molti lo sanno, ma questa è stata sempre una sorta di “cittadella autonoma” dove si fabbricava tutto quello che serviva all’istituto: c’erano anche i soffiatori del vetro che creavano le ampolle per gli esperimenti”.

Le richieste di poter lavorare fuori dal carcere sono molte, ma la scelta dei candidati è accurata e severa. “Per poter partecipare a queste attività sono tornato sui banchi di scuola - racconta Antonello, 59 anni - perché mi mancava la licenza media e ho fatto anche due anni di superiori. Sono molto grato e spero di poter continuare a fare il falegname anche quando uscirò definitivamente”.

Il nuovo “Braccio 8” del carcere di Rebibbia dove si trova il Padiglione Venere, protagonista di una sperimentazione sostenuta dall’ispettrice Cinzia Silvano in cui i detenuti vengono responsabilizzati e godono di ampie libertà, consente agli stessi (in base all’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario) di recarsi autonomamente al lavoro con i propri mezzi (due ore per andare e due per tornare) senza la scorta. “Credo sia un esempio di virtuosa collaborazione nel settore pubblico - spiega Andrea Piccioli, direttore generale dell’istituto che ha fortemente voluto questo progetto - per loro è un’opportunità, ma lo è altrettanto per noi, un’occasione concreta di inclusione sociale che qui contamina tutti con entusiasmo e positività”.

Motore di questo nuovo impulso su progetti di reinserimento nella vita sociale e lavorativa dei detenuti è Flavia Filippi, una giornalista di cronaca giudiziaria che per anni ha osservato da vicino le drammatiche condizioni delle carceri italiane, sovraffollate e poco inclini a percorsi rieducativi. “Volevo rendermi utile, fare da cerniera tra l’amministrazione penitenziaria e il mondo delle imprese - racconta Filippi - mi sono messa in contatto con Gabriella Stramaccioni, garante dei diritti dei detenuti e ho dato a questa iniziativa il nome di “Seconda Chance”.

Per ora non è nemmeno un’associazione, ma un’attività che porto avanti da sola: ci sono già una trentina di candidati che attendono l’autorizzazione per lavorare in molte aziende romane (con sgravi fiscali e retributivi in base alla legge Smuraglia n. 193 del 2000), dai ristoranti come Le Serre Vivi Bistrot e l’Osteria degli avvocati o Uniq, ma anche l’azienda di grafica Pioda Imaging e Botw per l’allestimento di eventi. Infine, subito dopo l’Iss ho avuto l’adesione di molti enti pubblici, tra cui Cnr, Cnel, Ance e Croce Rossa”.