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di Lucandrea Massaro

romasette.it, 25 luglio 2023

Valentina Calderone, Garante delle persone private della libertà personale di Roma Capitale: “Pochissime strutture per le misure alternative”. La vita in cella? “Patogena”. Per moltissime ragioni la popolazione carceraria è cambiata nel corso del tempo e i numeri ciclicamente salgono ma “solo il 10% della popolazione carceraria ha commesso reati di elevata pericolosità sociale, il resto ha commesso reati minori con pene molto brevi, molte persone sono straniere e non hanno un domicilio e una residenza fuori dal carcere e quindi hanno difficoltà ad accedere alle misure alternative”. A sottolinearlo è Valentina Calderone, nominata nel marzo scorso dal Campidoglio Garante delle persone private della libertà personale, impegnata da 15 ani sul tema dei diritti umani e civili.

Quella del Garante è una figura che esiste in città da oltre vent’anni e che nel tempo ha affinato e aumentato le proprie competenze: infatti non si occupa solo di detenuti ma di tutti coloro che vengono privati della libertà personale, come ad esempio i migranti in attesa di espulsione nei centri per i rimpatri, le persone in trattamento sanitario obbligatorio e in tutti quei luoghi e condizioni in cui una persona non è libera di muoversi come vuole. Chi resta in carcere spesso non ha alternative, ed è un problema che colpisce spesso le persone in condizione di fragilità dovuta all’anzianità e alle condizioni di salute, alle tossicodipendenze e ai disturbi mentali. Tutte condizioni che il più delle volte il carcere aggrava.

valentina calderone

“Il 40% circa dei detenuti ha almeno una diagnosi di questo tipo” dalle più alle meno gravi, ma “il carcere è patogeno”, dice ancora la Garante. “Se entri sano sicuramente esci con qualche patologia, dalla cosa più semplice come il peggioramento della vista perché vivi in una condizione di assenza di punti di fuga, a tutte le patologie dell’adattamento a quel tipo di ambiente, oltre ad amplificare quelle esistenti”. Ma cosa succede quando una persona esce di prigione? “Spesso non ci pensiamo - afferma Calderone - ma il momento più traumatico non è quello dell’ingresso in carcere, o almeno non solo, ma è quello dell’uscita. Statisticamente i suicidi in carcere avvengono o nei primi momenti dopo l’ingresso oppure a ridosso dell’uscita di prigione”. Un problema, quello della salute mentale che solo da poco, dopo il Covid, è entrato nell’orizzonte del discorso pubblico, che naturalmente riguarda tutti e non solo chi esce dal carcere, e che è parte integrante della cura della persona.

Ma cosa succede quando chi esce, anche temporaneamente grazie ai permessi premio o perché non può scontare la pena in carcere, non ha dove andare? Chi si occupa di queste persone? “Ci sono pochissime strutture purtroppo - sottolinea Calderone -. Un po’ se ne occupa il Terzo settore, in particolare quello di matrice cattolica, che aiuta nel reinserimento con case di accoglienza, con l’affidamento in prova”, ma i posti sono pochi e questo è un problema, specie per gli stranieri che così sono costretti a fare più carcere di quanto il loro percorso richiederebbe”. E per chi è malato? “Lì interviene direttamente la Asl, e le persone non autosufficienti vengono inserite nelle Rsa. Il Comune - ammette Calderone - ha dei posti ma sono sicuramente pochi, andrebbero aumentati e tarati per le diverse esigenze di cui abbiamo accennato. Se c’è un impegno che sento di voler prendere - aggiunge - è proprio quello dell’integrazione sociosanitaria di questi servizi, è essenziale far dialogare le strutture di accoglienza con le Asl, proprio per i problemi che abbiamo detto, cioè che molto spesso chi esce dal carcere è mediamente meno in salute rispetto al resto della popolazione e allora va accompagnato anche in questo aspetto del reinserimento. Ne stiamo discutendo con l’assessore e con il Garante regionale, ma è l’unico percorso che vale la pena di fare”.