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di Flaminia Savelli

Il Messaggero, 21 ottobre 2024

Morto tre settimane dopo. La famiglia di Giuseppe Ruggieri, 66enne di Tivoli conosciuto come “Peppe lo zoppo”, chiede giustizia. Detenuto in carcere a Rebibbia con una gamba amputata e gravi patologie. La famiglia chiede i domiciliari per “incompatibilità con il regime carcerario”. Ma il tribunale respinge la richiesta e una perizia medica conferma: “Congrue e idonee le cure al detenuto. Le condizioni sono di compatibilità”. Tre settimane dopo però, il detenuto è colto da un malore fatale e muore in cella. Ora la famiglia di Giuseppe Ruggieri, 66enne di Tivoli e conosciuto come “Peppe lo zoppo”, chiede giustizia.

“Durante l’iter delle perizie mediche, il personale del carcere aveva segnalato che il soggetto aveva necessità costante di rapporti con presidi sanitari e pur non esprimendosi faceva rilevare l’inadeguatezza delle cure somministrate in sede detentiva” spiega Pietro Nicotera, il legale che assiste la famiglia Ruggieri e che ha già depositato la denuncia: “La perizia del tribunale - sottolinea ancora il legale - pur rilevando le gravi condizioni di salute, ha ritenuto che Ruggieri potesse essere curato in carcere. Ma dopo pochi giorni è morto. Adesso vogliamo andare fino in fondo e capire cosa sia accaduto”.

Ruggieri, Peppe lo zoppo, era stato arrestato lo scorso 12 luglio: con diversi precedenti, era finito in manette per aver aggredito l’ex fidanzata e il nuovo compagno. Un carabiniere libero dal servizio della compagnia di Tivoli lo aveva fermato mentre, armato di taglierino, si accaniva prima contro la donna e poi contro il nuovo fidanzato. Nella colluttazione la ragazza era stata sfregiata al volto. Ferito anche Peppe lo zoppo che dopo essere stato medicato al policlinico Umberto I, era stato trasferito in carcere con le accuse di stalking, aggressione e lesioni.

Ed era già in condizioni di salute precarie: oltre alla gamba amputata, soffriva di altre gravi patologie tra cui cirrosi epatica. Ecco perché, poche ore dopo l’arresto, la famiglia aveva richiesto la sostituzione della misura cautelare con gli arresti domiciliari. Il 27 luglio viene notificata la prima istanza respinta e il tribunale di Tivoli dispone che la Direzione sanitaria del carcere proceda con una relazione sulle condizioni del detenuto e della compatibilità con il circuito carcerario. “Sono stati necessari due solleciti del giudice, il 21 e il 24 agosto, perché mentre le condizioni cliniche di Ruggieri peggioravano in cella, nessun perito lo aveva ancora visitato” sottolinea l’avvocato Nicotera. Relazione che arriva solo a settembre, il 4, in cui venivano confermate le patologie serie e il quadro clinico più che compromesso. Rimandando però il parere ai periti del tribunale.

A metà settembre - il 16, per la precisione - viene infatti depositata la seconda perizia, questa volta del tribunale. Una perizia in cui tuttavia vengono ritenute “congrue e idonee le cure” a cui il detenuto accede nella casa circondariale. Tanto che, sempre secondo la perizia, Ruggieri è in condizioni di compatibilità con il regime detentivo e infatti resta in cella nel carcere di Rebibbia.

Il 17 settembre quindi, l’istanza per i domiciliari viene respinta. Ma le condizioni del detenuto peggiorano tanto che, 25 giorni dopo, muore in cella colto da malore.

Gli agenti di sicurezza lo trovano cianotico, steso sulla branda e già privo di coscienza. Per 70 minuti tentano di rianimarlo invano, quindi ne viene accertato il decesso. “Il mio assistito era stato arrestato per un reato grave e questo nessuno può negarlo - conclude l’avvocato Nicotera - ma le sue condizioni cliniche erano serie e compromesse. Tuttavia la sua situazione è stata trattata con superficialità nonostante i ripetuti solleciti della famiglia e le istanze depositate in cui venivano chiesti gli arresti domiciliari. L’obiettivo ora è fare piena luce su quanto accaduto”.