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di Romina Marceca

La Repubblica, 22 marzo 2023

“L’hanno ucciso a forza di sedativi”. Dallo sbarco in Sicilia fino alla “contenzione” legato sul lettino al reparto psichiatrico del San Camillo. E spunta anche l’ipotesi sequestro di persona. I primi quattro indagati nella storia del migrante Wissem Abdel Latif, morto a 26 anni nelle mani dello Stato italiano il 28 novembre del 2021, arrivano insieme a un esito shock dell’autopsia. Il paziente “troppo agitato” doveva essere sedato per farlo stare tranquillo.

Al Servizio psichiatrico dell’Asl 3, ospitato al San Camillo di Roma, qualcuno gli ha iniettato dosi di un terzo farmaco, oltre ai due sedativi prescritti. Una medicina che nessuno ha annotato in cartella. È questo che ha scoperto il medico legale che ha consegnato la consulenza alla procura di Roma. Un principio attivo diverso dai due già somministrati al paziente.

Quel farmaco trovato nei tessuti di Wissem Ben Abdel Latif, mischiato agli altri due, Talofen e Serenase, è stato micidiale. Wissem Ben Abdel Latif è morto per quel mix di sedativi. Le accuse per due medici e due infermieri sono omicidio colposo e falso per omissione nella cartella clinica. Perché quel sedativo non è stato riportato sul diario clinico? E soprattutto, chi lo ha somministrato? Saperlo, dagli esami svolti durante l’autopsia, non è stato possibile.

Per questo motivo finiscono sul registro degli indagati i due medici e i due infermieri che erano di turno nei tre giorni che il migrante, arrivato dalla Tunisia su un gommone nell’estate del 2021, ha trascorso al San Camillo, l’ospedale dove poi è morto. Solo, legato a un letto addossato a un corridoio. Wissem era arrivato il 25 novembre al Servizio psichiatrico per schizofrenia psicoaffettiva. Aveva già trascorso altri due giorni al Grassi di Ostia. Ancora prima era stato rinchiuso al Cpr di Ponte Galeria dove si era ribellato alle condizioni in cui vivevano i migranti destinati a essere rimpatriati.

“Per me non siamo più nel campo dell’omicidio colposo ma di quello volontario con dolo eventuale”, commenta così la svolta nell’indagine l’avvocato Francesco Romeo, che assiste la famiglia di Wissem. Lunedì scorso il legale ha anche depositato una denuncia di sequestro di persona nei confronti dell’ospedale Grassi e del Servizio psichiatrico dell’Asl 3. “Non si può tenere continuamente legato un paziente a un letto”, è la sua convinzione.

Per 72 ore il migrante che sognava una nuova vita in Francia ha vissuto un inferno che adesso trova una prima risposta nelle indagini della procura di Roma, dopo un anno e 4 mesi. Wissem che sognava l’Italia come trampolino per arrivare in Francia, Wissem che aveva sfidato le onde su un gommone insieme a altri 80 per toccare le coste siciliane, Wissem che si è battuto dentro al Cpr di Ponte Galeria per ottenere un trattamento migliore. È lì che viene dichiarato un soggetto ingestibile, arriva all’ospedale di Ostia ma per la sua patologia viene richiesto il ricovero al Servizio psichiatrico di Roma. Da quel momento saranno urla, sedazioni continue, elettrocardiogrammi mai eseguiti, esami del sangue nemmeno letti. È tutto nella cartella che è stata esaminata nell’audit della Regione Lazio.

Tutte queste immagini saranno state, probabilmente, l’ultima parte del film della vita di Wissem che sono passate davanti ai suoi stessi occhi. Mentre accanto a lui come mostri sbucati dal più orribile dei sogni si muovevano medici e infermieri che gli iniettavano in vena tutto il possibile per non sentire i suoi lamenti. Prigioniero di una contenzione perenne, si sarà sentito come dentro una bolla insonorizzata in cui qualsiasi grido d’aiuto veniva ignorato. Perché Wissem urlava frasi che nessuno capiva visto che nessuno gli ha mai mandato un mediatore culturale in ospedale per sforzarsi di comprendere cosa aveva da dire quel ragazzo.