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di Viola Giannoli

La Repubblica, 31 dicembre 2023

Viaggio nella struttura che ha quasi quattro secoli e ospita mille detenuti nel centro di Roma. Anche Nordio ne invoca la chiusura. Ma non sarà facile. “Lo senti ‘sto rumore? Questa è la voce di Regina Coeli”. Comincia fuori, in via delle Mantellate, nelle chiacchiere affumicate delle donne in fila per i colloqui, o al parlatorio del Gianicolo da dove il mondo di fuori urla e spara botti per farsi sentire dal mondo di dentro. Dentro, appunto, la voce diventa assordante.

“È la prima cosa che ti resta addosso”, dice un agente della penitenziaria in servizio da oltre 10 anni. È un rumore incessante di metallo, il tintinnio delle chiavi, l’apri-chiudi dei lucernari, la battitura sulle brande, le sbarre, i cancelli, la pioggia sulle gelosie delle finestre, il su e giù per le scale. E poi le grida, i lamenti, i richiami dello spesino, i piatti, i fischi, il mormorìo, la musica, il furgoncino dei nuovi giunti, i fuochi d’artificio a ogni compleanno che in media sono tre al giorno. Chissà se tacerà mai la voce di Regina Coeli, se poi lo chiuderanno il carcerone di Trastevere. Sono passati 369 anni e non ci crede quasi nessuno.

Non ci credono i detenuti: “Ci mandano alle pene alternative? Ma quando mai”. Non ci credono gli agenti della penitenziaria: “Magari un pezzetto, per farne un bel museo”. Non ci crede la direzione. E nemmeno il quartiere che fischia e si lamenta, scrive lettere contro il baccano di dentro, ma poi come nel gioco della torre, che se sfili un tassello crolla tutto, dice: “È la memoria nostra”. Solo i napoleonici e il Regno d’Italia ci son riusciti, eppure ci hanno provato in tanti a incatenare per sempre il cancello di via della Lungara, tre metri sotto al lungotevere, davanti allo scalino che per detto popolare dà la patente di romano.

“È una topaia, lo chiudo”, tuonò nel 1994 il ministro della Giustizia Raffaele Costa. “Un magazzino di carne umana”, 2013, presidente della Camera Laura Boldrini. “Va riconvertito”, 2016, ministro Andrea Orlando. “È incompatibile con una struttura carceraria moderna, ne andrebbe fatto un museo”, 2023, ministro Carlo Nordio. Nato convento ne11654, monumento agli intrecci immobiliari e dinastici delle famiglie romane - i Colonna, i Barberini, i Pamphili da11890 ospita solo anime in pena. È stato carcere femminile, sede della scientifica, archivio criminale, luogo di detenzione degli oppositori al fascismo, dei trucidati delle Fosse Ardeatine, dei deportati nei campi di concentramento prima di diventare tali.

Ha visto evadere Saragat e Pertini, pezzi di Banda della Magliana e stranieri meno celebri. A entrare oggi nelle aree comuni, in una visita dai molti paletti imposti ai giornalisti dal ministero di Giustizia, non si direbbe nemmeno che è così vecchio. Poi però arrivano l’umidità nelle ossa, l’aria di fiume che porta topi e zanzare, l’acqua calda che non va, le docce ferme e quando si rompe qualcosa la manutenzione costa. Non può essere moderno un carcere con quasi quattro secoli, costruito peraltro, con “spazi angusti, condizioni sanitarie allarmanti, una struttura inidonea non in grado di offrire concrete forme di speranza”, recita la mozione, l’ennesima, proposta dalla consigliera Pd Cristina Michetelli e approvata in Campidoglio per impegnare il sindaco Gualtieri a convincere Nordio a chiuderlo.

“È invivibile, pure il cibo non è granché, mica come a Opera che ci stanno i fritti” dice Cicoria, ex detenuto nei video su TikTok. Quando entriamo il sovraffollamento è al 170%. Nella rotonda che affaccia sulle prime quattro sezioni la penitenziaria dirige il traffico, ogni agente si porta appresso 5-6 reclusi. Gli uomini e le donne in divisa sono 359, dovrebbero essere 516. Gli amministrativi 33 invece che 47. Gli educatori 3, se ne aspettavano 11. I detenuti stranieri più della metà, i mediatori insufficienti. Su 68 suicidi dietro le sbarre 5 son morti qui. C’è un centro medico, i ricoverati sono 56.

“Ma le visite programmate all’esterno spesso saltano perché manca la scorta per arrivare in ospedale, 750 metri dal carcere - racconta Valentina Calderone, Garante dei detenuti di Roma - Scarse anche le occasioni di lavoro per i condannati in via definitiva che dovrebbero essere inseriti in percorsi di reinserimento”.

Aree verdi niente, campi sportivi nemmeno. “Venite vi mostro i passeggi”, ci accompagna la direttrice Claudia Clementi che tenta di governare l’ingovernabile da un anno e mezzo. Il passeggio della prima sezione è un trapezio strozzato su cui è dipinto un campo da gioco impossibile, la porta sul muro, due centrocampi a terra che segnano la metà di nulla, un pallone di cuoio spellato in un angolo, trenta falcate sul lato lungo, tutto qui. Ogni spazio viene rosicchiato per aule che diventano teatro, palestra, sala preghiera.

Nella biblioteca vanno via Follett, Grisham, King, i libri di animali “per disegnarli”, le poesie “per scrivere le lettere”, dice la bibliotecaria del Comune, e i fumetti di Zerocalcare. C’è fame di aria e di spazio. Ma come si fa a chiuderlo? Dove si mettono mille detenuti se le carceri sono tutte sovraffollate? Come si fa con gli uffici giudiziari a due passi? Poi chiuderlo per farne cosa?

“Spero non mini-appartamenti”, sussurra un’agente. Progetti se ne son fatti svariati e milionari. Una parte è intoccabile, vincolata dai Beni culturali: la terza sezione, la prigione dei nazisti. Lì sorgerebbe il museo storico. Ma di alleggerire il carcere lo dice pure Nordio, mentre il suo governo vara norme opposte.

“Dovremmo lavorare per far uscire le persone da qui - dice Calderone - Allora sì, Regina Coeli potrebbe essere altro, una casa circondariale per 400 persone, un’eccellenza del percorso trattamentale. Chiuderlo per costruirlo altrove invece non ha senso, significa solo toglierlo dallo sguardo. E invece Regina Coeli serve a ricordarci che è un pezzo di città e che di carcere non dobbiamo smettere di occuparci”.