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di Salvatore Cernuzio

vaticannews.va, 26 settembre 2022

Padre Moreno Versolato racconta l’incontro con Francesco a Santa Marta e si fa portavoce dell’emozione di coloro che hanno ricevuto l’abbraccio del Pontefice: “È andato lui incontro a ciascuno, non ha aspettato che ci muovessimo noi. Può sembrare banale ma mi ha ricordato la ‘Chiesa in uscita’ che va incontro alle persone”. “A causa della pandemia, molti sono stati privati della loro affettività. È una situazione pesante”.

“È stata un po’ inaspettata questa udienza, un regalo che il Santo Padre ha fatto a questi nostri amici detenuti spesso emarginati, ancora di più durante la pandemia”. Padre Moreno Versolato, 56 anni, cappellano di Rebibbia, è una persona di poche parole, ma sa bene quando usarle.

Padre Moreno, quali parole del Papa vi sono rimaste impresse?

Il fatto che Papa Francesco ci abbia incoraggiati a non aver paura di affrontare questo tempo della nostra vita. Perché - ci ha detto - è solo un tempo, una parte della vita, quindi affrontatela con coraggio.

Quanto è durato l’incontro?

Una mezz’oretta. Era previsto per le 9, ma noi eravamo in anticipo e anche lui. In quei momenti lì però non è il tempo che conta, ma la vicinanza, l’accoglienza che il Papa ci ha riservato. Ha accolto ogni detenuto con un abbraccio e una stretta di mano, poi si è lasciato coinvolgere nei selfie perché tutti quanti volevano immortalare il momento con il proprio telefonino. Ci ha raccontato che è ancora in contatto con i detenuti di un carcere di Buenos Aires che conosceva, ai quali dice che telefona ogni quindici giorni. Io poi l’ho sollecitato dicendo che noi lo ricordiamo sempre e lui ha risposto: “Mi raccomando, eh, non ricordatemi come quando si va dalla strega con gli spilli che si porta la fotografia” (Ride). Ci ha fatto sorridere e i detenuti hanno detto: “No, noi la ricordiamo con affetto. Lei chiede di pregare sempre per lei e noi lo facciamo ogni domenica alla celebrazione della messa”.

E i detenuti cosa hanno detto di questo colloquio con il Papa?

Erano emozionatissimi, molto felici e colpiti dalla semplicità con cui il Santo Padre li ha ricevuti. Soprattutto erano stupiti del fatto che il Papa avesse riservato un momento personale ad ognuno. Eravamo disposti a semicerchio, tutti insieme con la direttrice, due dottoresse della magistratura di sorveglianza, la comandante, l’educatrice e via dicendo, e il Papa è passato a dare la mano a ciascuno. Non ha aspettato che andassimo da lui ma lui è venuto incontro. Può sembrare un gesto semplice, banale, ma a me ha fatto venire in mente quella “Chiesa in uscita” di cui parla sempre. Una Chiesa che va incontro verso le persone, verso “la” persona, perché davvero oggi ognuno di noi si è sentito unico davanti al Papa. Ognuno ha sentito questo rapporto uno ad uno.

E poi avete chiuso in bellezza la mattinata nella bellezza dei Musei Vaticani…

Sì, siamo stati accolti dalla direttrice Barbara Jatta. Ci è stata messa a disposizione una guida che ci ha accompagnato per circa due ore, facendoci godere di queste meraviglie. Anche quello è stato un dono, visto che non sempre è possibile poter accedere a questi luoghi di cultura che raccolgono e raccontano bellezza. Cioè le opere che gli artisti hanno lasciato con il desiderio di innalzarci verso il Cielo, di farci incontrare Dio. Questo oggi si è toccato con mano… Guardavo l’interesse di questi uomini: così attenti, ognuno con il suo auricolare, guardavano, gustavano queste meraviglie e sembravano distaccarsi dalla realtà.

Ecco, qual è la realtà dei detenuti di Rebibbia dopo oltre un anno di Covid? Sappiamo che la pandemia ha creato gravissimi disagi all’interno degli istituti penitenziari, soprattutto per la questione contagi e distanziamenti…

È una situazione tuttora pesante, perché a causa della pandemia queste persone sono state private di una cosa importante che è la loro affettività. Anche l’incontro con i propri cari, con le proprie compagne, con i figli, è venuto meno e questo sta veramente pesando. È vero che hanno messo a disposizione dei cellulari per le videochiamate e, in un certo qual modo, il detenuto entra e vede in live direct i suoi familiari, la propria casa, i propri luoghi, però manca l’abbraccio, manca la stretta di mano, il guardarsi negli occhi. Questo sta creando una situazione di forte stress a mio avviso.

Lei come cappellano cosa fa in questa situazione?

Noi cappellani cerchiamo di stare con loro e di essere una presenza continua, soprattutto durante i momenti più duri della pandemia, quando eravamo tra i pochi a poter entrare negli istituti. Anche, cerchiamo di essere un tramite con le famiglie, di incontrarle quando è possibile, di poter alleviare questa fatica con la nostra presenza facendo da ponte perché tante volte i detenuti si sentono davvero emarginati.

Personalmente dall’incontro col Papa di oggi cosa porta a casa? Anche in riferimento alla sua missione

Questo continuo incoraggiamento, questa speranza di dire “vai avanti, sii un segno”. A me il Papa in un’altra occasione, un pellegrinaggio di qualche anno fa al quale avevo accompagnato alcuni detenuti, mi disse al momento dei saluti: “Grazie per il tuo servizio’” Non capita spesso di sentire la parola “grazie” oggi, tantomeno di sentirla direttamente dalla bocca del Papa, il nostro pastore che ci sostiene e ci incoraggia a vivere l’esperienza di servizio all’interno della comunità cristiana. Più che mai in una comunità come quella carceraria che vive ai margini della società.