di Simona Giannetti
Il Dubbio, 30 luglio 2024
Il Partito Radicale ha denunciato l’illegalità costituzionale della detenzione di Giacomo, in cella a 2 anni nel carcere di Rebibbia. A firma del segretario Maurizio Turco e della tesoriera Irene Testa, è stata inviata la denuncia alla Procura della Repubblica per i Minorenni di Roma, perché sia avviato un formale accertamento delle responsabilità per la violazione dei diritti di dignità, libertà e salute di Giacomo, anche avvisando il Garante dei detenuti nazionale e quello del Lazio della condizione inumana e degradante della “carcerizzazione” di Giacomo oltre che delle conseguenze sulla sua libertà, dignità umana e salute. Stessa segnalazione è stata indirizzata anche al Dap e alla Direzione regionale del Lazio per la tutela della Salute, considerato che come ha scritto l’Oms nel suo preambolo alla costituzione dell’Organizzazione (Conferenza Internazionale della Sanità, New York 19- 22 giugno 1946), salute non significa solo assenza di malattia, bensì prima ancora “una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità”.
Giacomo è chiuso in cella a Rebibbia, come si è letto su Repubblica, ha 2 anni e non pronuncia parole diverse da “apri e chiudi”, oltre a dare apparentemente segni di difficoltà nello sviluppo psico- fisico. Quale sarà stato il benessere fisico e mentale di Giacomo cresciuto in una prigione? L’art 32 della Costituzione tutela il suo diritto alla Salute e l’articolo 31 stabilisce che la Repubblica “protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Sono principi fondamentali a cui si dovrebbe ispirare il legislatore, ma anche chi amministra la giustizia e il sistema penitenziario. Sono questi gli argomenti da cui ha preso le mosse la denuncia del Partito Radicale.
Giacomo è di fatto un bambino di due anni in condizione di detenzione, cioè è un detenuto senza pena: vive dietro le sbarre di un blindo, che scandisce il suo spazio di libertà con aperture e chiusure grazie al gesto di una volontaria che lo accompagna per qualche ora al nido. Lo Stato, le istituzioni tutte, hanno abbandonato Giacomo e, come lui, tutti gli altri 20 bambini che al 31 dicembre 2023 (dal Rapporto di Antigone “Nodo alla gola”) erano dietro le sbarre con le loro madri in tutta Italia. L’articolo 3 della Convenzione EDU vieta la tortura o i trattamenti inumani o degradanti e dal canto suo la Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 1989 prevede che “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. Per questo, l’articolo 147 del codice penale prevede il diritto di una madre al rinvio della pena, quando la prole sia in età inferiore ai 3 anni; rinvio che, essendo ispirato ad una misura umanitaria, non incontra limite neppure nelle ostatività. In teoria verrebbe in soccorso anche la normativa (legge 62/ 2011) sugli Icam - Istituti a custodia attenuata per le madri -, che sono strutture dotate di sistemi di sicurezza non invasivi, ovvero non riconoscibili dai bambini e pensate per ricreare una atmosfera il più possibile lontana dall’ambiente del carcere, senza sbarre, armi o uniformi -, destinati alle madri in detenzione con la prole fino ai 6 anni di età. Anche se a onor del vero, sebbene l’Icam nasceva come idea di un luogo lontano dal carcere, la maggior parte di queste strutture sorgono all’interno dello spazio dell’Istituto di pena, con la conseguenza che i bambini continuano a vivere la carcerizzazione.
Se non bastasse che gli Icam sono pochissimi (Milano San Vittore, Venezia Giudecca, Lauro e Torino) e che a questa assenza sopperiscono in alcune grandi città le “case famiglia protette” - edifici del tutto avulsi dal contesto carcerario oggi presenti solo a Milano e Roma - si pone un ulteriore tema, che è quello della totale assenza dei finanziamenti per sostenere queste realtà in numero e servizi: del resto che le riforme - o meglio le riformette - sul carcere siano quasi sempre a costo troppo vicino allo zero è una questione annosa e che fa il paio con il tentativo di fingere che i diritti dei detenuti fossero anche bambini senza pena non esistono.
“Compatibilmente con esigenze cautelari non eccezionalmente rilevanti, il giudice può disporre presso gli Icam la custodia cautelare o l’espiazione della pena per le donne incinte o madri con prole sotto i sei anni, o per il padre quando la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata ad assisterla” - questo si legge sul sito del ministero della Giustizia.
Considerato che il criterio debba essere l’” interesse preminente e superiore” del bambino, una volta per tutte la storia di Giacomo, oltre ad essere una spina nel fianco, potrebbe anche divenire l’occasione per il legislatore di avere il coraggio di non far soccombere il diritto del bambino alla pretesa punitiva, emergenziale e carcero-centrica dello Stato, che potrebbe rinunciare anche alle esigenze eccezionalmente rilevanti.