di Lorena Crisafulli
L’Osservatore Romano, 22 settembre 2024
Il protocollo d’intesa “Fratelli tutti” fra Roma Capitale, Ama e Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Favorire la formazione professionale all’interno degli istituti penitenziari di Roma e provincia e valorizzare le competenze delle persone private della libertà personale, agevolando il loro inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro. Sono gli obiettivi che si prefigge il Protocollo di intesa “Fratelli tutti”, firmato in Campidoglio da Città Metropolitana di Roma Capitale, Garante delle persone private della libertà personale di Roma Capitale e Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap).
Un importante progetto di formazione che mira a favorire il dialogo tra il mondo carcerario e quello professionale, grazie all’inserimento in uno specifico programma di persone private della libertà - ritenute idonee dal Dap - che verranno retribuite in forma equa per il lavoro svolto. “Il piano, che abbiamo presentato anche a Papa Francesco in occasione della sua visita in Campidoglio, rientra nel progetto “Fratelli Tutti” e prevede una formazione a pieno titolo, sia teorica che pratica, in un ambito lavorativo molto richiesto, con l’obiettivo di garantire uno sbocco professionale - ha dichiarato il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri -. Dare dignità e formazione alle persone private della libertà significa dar loro una speranza solida di reinserimento e farlo su un tema importante come l’economia circolare ne aumenta ancor di più il valore”.
Nello specifico, “Fratelli tutti” è un percorso di formazione in apprendistato, attraverso il quale vengono individuati soggetti idonei alla gestione delle compostiere, le macchine di trasformazione dei rifiuti organici in compost. Realizzato in collaborazione con Ama, prevede corsi formativi “in aula” e pratici in “contesti lavorativi” per promuovere l’inserimento di queste persone nel settore dell’economia circolare. Al termine del progetto ai partecipanti verrà rilasciata la qualifica professionale di operatori meccatronici (indispensabile nei diversi impianti dell’Azienda Ama Roma). “Si tratta di ruoli altamente specializzati - ha sottolineato Gualtieri - di cui ha bisogno la città, ma anche la stessa casa circondariale di Rebibbia, che produce otto tonnellate di rifiuti al giorno e circa 3000 l’anno”.
“Dopo un anno di teoria in aula, è prevista anche la possibilità di fare pratica nelle sedi di Ama, con un contratto di apprendistato retribuito. La Città Metropolitana di Roma sta acquisendo un know-how importante sulla formazione e con questo progetto ampliamo ancora di più il nostro raggio d’azione - ha aggiunto Daniele Parrucci, consigliere della Città Metropolitana di Roma Capitale, delegato ad Edilizia Scolastica, Impianti Sportivi e Politiche della Formazione -. Siamo felici di presentare questo protocollo d’intesa con il Dap e con la Garante delle persone private della libertà personale, convinti che una formazione professionale seria, portata all’interno degli istituti penitenziari, possa dare ai detenuti una speranza rinnovata, perché una nuova strada è possibile”. Il percorso - ha concluso Parrucci - parte con un primo anno di formazione mentre nel secondo anno si lavorerà con il meccanismo dell’alternanza carcere-lavoro”.
Per il diploma ci vorranno 4 anni complessivi, dopo i quali i detenuti potranno essere assunti. “L’obiettivo è quello di trasmettere competenze professionali specifiche a queste persone, in particolare in ambito tecnico, meccanico e meccatronico, e consentire così l’inizio, una volta fuori dalle mura dell’istituto penitenziario, di un nuovo percorso di vita che restituisca dignità e fiducia anche attraverso il lavoro”, ha fatto sapere Bruno Manzi, presidente di Ama S.p.A. Siamo orgogliosi di dare il nostro contributo a questo importante progetto volto a dare una nuova opportunità e prospettive future a chi si sta impegnando in un percorso di recupero e reinserimento nella società”.
La casa circondariale di Rebibbia non è nuova a progetti di inserimento lavorativo, basti pensare alla recente creazione di un laboratorio di cucina nel carcere femminile e all’accordo con i costruttori romani per avviare corsi professionali riservati alle detenute. Sono tutte iniziative lodevoli avviate quest’anno, in grado di aiutare le persone che vivono in una condizione di restrizione della libertà personale a trovare momenti di svago e con essi la possibilità di “andare oltre” il contesto restrittivo nel quale si ritrovano. “In un momento in cui sovraffollamento e suicidi sono un’emergenza nazionale, ideare un progetto con una visione così complessiva è ancora più importante - ha specificato Valentina Calderone, Garante delle persone private della libertà personale di Roma Capitale -. Anche il Santo Padre, nella “Bolla di indizione del Giubileo”, ha più volte citato la condizione delle persone detenute, chiedendo ai Governi di restituire loro la speranza, anche attraverso forme di amnistia o indulto, volte ad alleggerire l’attuale insostenibile condizione di vita cui sono sottoposte le persone nelle nostre carceri e aiutarle a recuperare fiducia in sé stesse e nella società. Noi consideriamo il carcere un pezzo di città di cui vogliamo farci carico: portare queste attività dentro le strutture, per contribuire a costruire percorsi utili al fine pena, rientra in questa idea”.
Le carceri italiane sono in perenne stato d’emergenza a causa dell’elevato numero di suicidi e delle condizioni deprecabili in cui versano, compreso il sovraffollamento, per le quali tante volte il nostro Paese è stato richiamato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Anche dal xx rapporto sulle condizioni di detenzione, elaborato da “Antigone”, l’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, è emerso un quadro piuttosto preoccupante riguardo al numero di suicidi all’interno delle carceri di Roma e di tutto il territorio nazionale.
Riuscire a risolvere una volta per tutte una situazione così drammatica e complessa ha il sapore dell’utopia, ma favorire progetti di reinserimento professionale all’interno di queste strutture e provare a restituire quel senso “del dopo”, che talvolta manca a chi sta scontando una pena, è un’opportunità da non lasciarsi sfuggire per cercare di ridare a queste persone la speranza di un futuro migliore a fine detenzione.