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di Carlo Picozza

La Repubblica, 31 ottobre 2023

L’appello dei detenuti di Rebibbia: “Siamo cittadini che hanno sbagliato e scontiamo la condanna in carcere, ma non per questo abbiamo perso il diritto alla salute e quello alla dignità. La nostra vita è nelle vostre mani”. Arriva dal penitenziario di Rebibbia un Sos per la salute dei detenuti, messa a rischio dalla carenza dei medici in campo: solo due dei quattro previsti. Diritti che sembrano in parte negati. “Dimezzati e stremati, i medici non ce la fanno a reggere l’onda d’urto di una domanda di assistenza e cure nelle carceri sempre più sovraffollate”, spiega Roberto Monteforte, coordinatore esterno di Non tutti sanno, il notiziario dei detenuti di Rebibbia, che ha promosso e inviato l’appello a una quarantina di soggetti istituzionali, dalla Regione alle Asl, ai sindacati dei medici di base. “Conosciamo le difficoltà del Servizio sanitario nazionale e di quello regionale per la scarsità di risorse e mezzi, ma in carcere non c’è alternativa alla sanità pubblica: senza questa, il nostro diritto costituzionale alle cure è di fatto disatteso”.

Tant’è, il posto lasciato vuoto dal medico di base o dallo specialista che va in pensione, resta vuoto: “I bandi indetti dalle Asl vanno deserti e si aspettano anche anni prima dei rimpiazzi, con rischi e disagi per noi reclusi che già subiamo gli effetti nefasti del sovraffollamento”. E per gli stessi medici, a volte, “il carcere è più impegnativo di un Pronto soccorso preso d’assalto”. “Senza incentivi, dalle indennità alle possibilità di carriera - argomentano i detenuti attraverso Non tutti sanno - chi può scappa da qui anche se noi abbiamo bisogno di personale sanitario preparato e solidale”. L’appello si chiude con una proposta: “Si consenta al medico che va in pensione di continuare a prestare la sua attività nelle carceri e a loro siano affiancati giovani tirocinanti: sarebbe un’esperienza esaltante, un’occasione per scoprire l’umanità dolente e solidale che sta dietro le sbarre: non ci abbandonate”.