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di Marco Carta e Andrea Ossino

La Repubblica, 11 agosto 2023

Oltre la procura si muovono Corte dei conti, Consiglio di Stato, Anac e Authority. La procura di Roma, la Corte dei Conti, l’ex garante dei detenuti di Roma e quello nazionale. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ma anche il Consiglio di Stato, il Tar dell’Emilia Romagna e l’Anac.

Da un po’ di tempo a questa parte sono in molti a occuparsi dell’alimentazione dei carcerati italiani e dei relativi appalti. E quasi sempre le vicende ruotano intorno a una società, la la Ditta Domenico Ventura Srl. Anche gli ultimi fatti, quelli che hanno portato l’Anac ad esaminare le mense destinate agli agenti della penitenziaria e il Tar emiliano ad annullare i decreti con cui la Ventura si era aggiudicata appalti per alcune forniture nei penitenziari di Bologna, Castelfranco Emilia, Ferrara, Forlì, Ravenna, Rimini, Modena e Reggio Emilia.

La Ventura non è una ditta come tante. È in mano a due fratelli, Umberto e Achille Ventura. Quest’ultimo è un ex campione di moto d’acqua, già al vertice della Federazione Italiana Motonautica e in passato presidente del Circolo Canottieri Napoli. I due fratelli fanno parte della Napoli che conta.

E anche la loro azienda è un colosso, almeno nel mondo delle forniture di vitto e sopravvitto, ovvero delle mense e degli alimenti extra acquistabili nei penitenziari. La Ventura ha centinaia di dipendenti, vince decine e decine di appalti e ha un fatturato che negli ultimi tre anni si aggira intorno ai 30 milioni di euro. Un colosso del settore capace di fornire con 2 euro e 39 centesimi colazione, pranzo e cena a un detenuto recluso nel Lazio.

Una cifra incredibile che adesso è stata aggiornata: 3 euro e 90 centesimi per carcerato. La somma tuttavia ha destato molta preoccupazione. Nella Capitale così, grazie alle denunce dell’ex garante dei detenuti di Roma, Gabriella Stramaccioni, e all’inchiesta del sostituto procuratore Giulia Guccione, è stato aperto un fascicolo e due persone al vertice della ditta Ventura sono finite nel registro degli indagati perché sospettate di non aver rispettato l’appalto allungando il latte dei detenuti con l’acqua, servendo carne avariata o preparando il caffè con i fondi.

Già nel 2021 la Corte dei Conti aveva ricusato il visto per i pasti all’interno del carcere di Rebibbia, dove l’appalto era stato vinto con “un ribasso del 57,98% sulla diaria pro capite di 5,70 euro”. Tuttavia la Ventura è riuscita a vincere nuovamente il bando indetto in un clima di preoccupazione esternato anche da Mauro Palma, garante nazionale dei detenuti. Se un’azienda gestisce sia vitto che sopravvitto, è il patema, è facile che la scarsa qualità del primo porti i detenuti a rivolgersi al secondo, più oneroso dunque più redditizio. Tutto ciò “incide su diritti fondamentali della persona detenuta”, spiegava il garante.

Nel frattempo anche l’autorità garante della concorrenza e del mercato era intervenuta. Apre un’indagine, è convinta che ci sia un cartello di imprese che ha trovato un sistema per dividersi gli appalti a tavolino. I comportamenti anomali avrebbero riguardato le gara per il Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia. L’Agcm poteva indagare fino al 31 marzo 2024. Ma gli è bastato arrivare al 12 giugno del 2023 per giungere a una conclusione: “Non sussistano sufficienti elementi per accertare la violazione”. Il caso è chiuso.

Ma si apre però un’altra partita: all’Anac. Nel maggio 2023 l’Ente esamina le mense “obbligatorie nelle sedi degli istituti penitenziari, scuole e istituti di formazione del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria della Campania”. Sarebbero emerse “numerose irregolarità”, scrive l’Anac. E poi c’è Roma, dove si indaga sulla qualità del cibo fornito, diverso da quello previsto dal capitolato. Pochi giorni fa anche il Tar dell’Emilia Romagna ha annullato i decreti con cui, mesi prima, erano stati affidati alla Ventura servizi in diverse carceri. L’ennesimo procedimento che non riguarda solo dinamiche aziendali, di mercato e di denaro pubblico, ma i diritti di chi, da dietro le sbarre, difficilmente riesce a far sentire la propria voce.