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di Silvia Perdichizzi

La Repubblica, 31 gennaio 2023

Tatiana, Melany, Daniela. Cronaca di un giorno di make-up nel carcere romano, insieme a una truccatrice professionista. “Oggi ci siamo sentite donne”. “Come in tutte le cose della vita, anche nel make-up si parte dalla base. E vi assicuro che una buona base fa un ottimo trucco”. Morena è una truccatrice televisiva e per un giorno si è messa a disposizione di modelle insolite. Siamo a Roma, nel carcere di Rebibbia, dentro il reparto “G8 nuovo complesso” dove il Venerdì ha potuto assistere a un evento unico: un tutorial live personalizzato sul make-up dedicato alle detenute transessuali. Lo ha organizzato l’associazione Seconda Chance (Sc), nata un paio di anni fa su spinta della giornalista Flavia Filippi per aiutare i detenuti nel percorso di reinserimento lavorativo.

Sono una quindicina le detenute trans in attesa del loro turno. Quasi tutte sudamericane, tra i 25 e i 40 anni, dietro le sbarre per lo più per problemi di prostituzione e droga. Certo, ognuna di loro ha alle spalle una storia diversa. Ma condividono la stessa fatica.

La vita transgender in carcere è molto difficile. Le detenute vivono all’interno del reparto maschile con altri 250 carcerati e sono sottoposte allo stesso regolamento. Ma sono confinate in una “sezione dedicata” per rispettare il principio di “non promiscuità”, come da indicazioni del ministero di Giustizia. Uno spazio di pochi metri quadrati che contiene cinque stanze per dormire, una per la scuola, una polivalente e una che dovrebbe servire per la socialità ma che in realtà viene usata per stendere i panni. E ancora: non possono svolgere attività ricreative se non previste esclusivamente per loro. Ipotesi quasi surreale in un sistema carcerario, quello italiano, privo di fondi e di strutture. Ultimo, ma non meno importante: parliamo di persone la cui esigenza di mostrare la propria identità sessuale, anche tramite trucchi, vestiti e accessori è vitale per la stabilità interiore.

In permesso premio - Infatti oggi Melany è felice: “Questo è il massimo, sono senza parole”. A 15 anni andò via di casa perché la sua famiglia non accettava quella che lei chiama la sua “natura”, guardata con ostilità dal vicinato che aveva iniziato a ghettizzare lei e sua madre. Melany ha dietro le spalle una storia molto aspra di prostituzione, abusi e violenze di ogni tipo. Ha fatto un lungo percorso personale per uscire da un buio profondo che la spingeva a commettere atti autolesionistici. Ma ne è venuta fuori, e oggi si sente bella come il sole e vede l’opportunità del make-up come la “ciliegina sulla torta” in vista di domani. Un domani diverso da tanti altri perché ha ottenuto il suo primo permesso premio.

Ora Morena chiede silenzio. Tutte si siedono e lo stanzone riservato all’evento cade in una tensione carica di emozione. Le detenute la ascoltano mentre racconta le origini del make-up e spiega le regole base di un buon trucco. “Dalla scelta del fondotinta al tipo di pennello, dalla spugnetta all’eyeliner, i trucchi variano secondo il tipo di pelle”. Poi, si cambia ritmo. E arriva il momento tanto atteso in cui dalla teoria si passa alla pratica.

Ogni detenuta fa a gara con le altre per essere truccata per prima, come se tenere quel trucco per più tempo possibile significhi essere donne pienamente e più a lungo. È il turno di Raissa, 31 anni, brasiliana dalla carnagione chiara. “Cosa significa per me questo tutorial? Una novità senza dubbio, in un posto in cui passiamo le nostre giornate tra branda e corridoio. E poi un modo per sentirmi ancora più donna perché qui vigono le regole maschili e noi non facciamo eccezione”. Questo significa niente trucchi e niente biancheria intima per esempio, anche se negli ultimi tempi con l’ispettrice di reparto Cinzia Silvano le cose sono un po’ cambiate. “Questa giornata nasce anche per questo”, spiega Alessandra Ventimiglia, vicepresidente di Seconda Chance, che sottolinea come si tratti di “un’iniziativa innovativa mai fatta prima” e non nasconde il desiderio di organizzare un corso più strutturato che possa formare le detenute trans in future truccatrici.

La sfilata di Raissa - Raissa si alza, si guarda e si riguarda allo specchio illuminato dalle tante lampadine, circondata dalle sue compagne. Passeggia come in una sfilata di moda. “Questo trucco non me lo tolgo finché posso”, esulta. Tocca a Tatiana, uruguayana ribelle, che è abituata a vivere per strada da quando aveva 13 anni e proprio da allora si sente una donna. Altro viso, altra pelle. “Si cambia fondotinta: dal beige1 al dark skin3”, spiega Morena. Una dopo l’altra sfoggiano tutte una sicurezza che, forse, non hanno mai avuto. Anche se Daniela, il viso sfregiato da una cicatrice, abbandona l’apparente spavalderia e sussurra: “Io però mi imbarazzo”.

Melany sogna che il suo make-up fresco fresco duri almeno fino a domani, quando varcherà per la prima volta dopo quattro anni il cancello del nuovo complesso di Rebibbia. Non sa ancora che, con il permesso della direzione, Seconda Chance ha fatto una colletta tra amici per comprare dei trucchi che rimarranno lì, nel “reparto trans”. Tutti per loro.