sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Romina Marceca

La Repubblica, 5 aprile 2023

Ilaria Cucchi ripercorre il calvario di Wissem dal centro-lager all’ospedale dove fu legato. Dal Cpr di Ponte Galeria al San Camillo, la senatrice ha ripercorso le tappe che hanno portato alla morte del migrante. “Presenterò un’interrogazione parlamentare. Cerco la verità come ho fatto con mio fratello”.

Due mesi per morire, 57 giorni, per l’esattezza 1.368 ore. Wissem Ben Abdel Latif era un migrante tunisino che sognava la Francia. Voleva lavorare lì per aiutare la famiglia. A tappe forzate, invece, è andato incontro alla morte nelle mani dello Stato italiano. Dichiarato schizofrenico per le sue battaglie contro il degrado dentro al Centro per il rimpatrio di Ponte Galeria. Ricoverato in Psichiatria per cinque giorni, sedato e legato mani e piedi a un letto in un corridoio d’ospedale. Morto da solo mentre nessuno si curava dei suoi ultimi rantoli.

Repubblica ripercorre gli ultimi 46 giorni del migrante a Roma insieme alla senatrice di Sinistra italiana Ilaria Cucchi, che ha titoli dolorosi per appassionarsi a una storia assonante sotto molti aspetti a quella del fratello Stefano.

Tre le tappe sulle tracce di Wissem: il Cpr di Ponte Galeria, la psichiatria dell’ospedale Grassi di Ostia e quella dell’Asl3 al San Camillo. “Ho attraversato la sofferenza che Wissem ci ha lasciato in eredità, mi sono fatta legare i polsi a una sedia nel reparto dove è morto. Ho capito cosa significa sentirsi prigionieri, mi batterò per lui come per Stefano. Presenterò un’interrogazione parlamentare perché venga appurata tutta la verità e perché non ci sia più un altro Wissem”, annuncia Ilaria Cucchi.

Dentro le gabbie - Sono le 11,30 di una mattina di fine marzo. La senatrice accede al Cpr di Ponte Galeria, in via Portuense. Ha atteso fuori più di 20 minuti. “È un’ispezione, devo entrare subito. Lo farò presente nella mia relazione”, ribadisce più volte al militare di guardia. Due blindati della polizia lasciano il Cpr con a bordo alcuni migranti. Chiede il perché. “Rimpatri”, le rispondono. “Strana coincidenza”, ribatte lei. Il Cpr è circondato da mura di cinta sorvegliate da telecamere e militari, confina con il “I Reparto mobile” che assicura l’ordine dentro il centro. Scappare è impossibile, sui muri ci sono anche gli spuntoni. Il centro è come un’isola in questa parte a sud ovest di Roma. La prima immagine che arriva dall’interno è quella di uno zoo. Ci sono otto gabbie alte quattro metri. Tutto regolare per lo Stato ma inaccettabile da vedere.

Ogni gabbia ha due stanzoni con otto brande, ci vivono 93 migranti: 88 uomini e 5 donne. “Il carcere sarebbe meglio”, dice un ospite e consegna una canzone sulla libertà a Ilaria Cucchi. Le gabbie delimitano lo spazio all’aperto, sette metri per sette. I migranti si aggirano lì dentro come anime dannate.

“Nessuna attività di socializzazione, chi sta in una gabbia non può incontrare chi sta dentro a un’altra. Il direttore Enzo Lattuca - dice Cucchi dopo l’ispezione - ci ha spiegato che quando sono state aperte scoppiavano le risse. Dentro una gabbia ho trovato delle feci a terra. Nel complesso una grande desolazione, pochi televisori funzionanti, bagni sporchi, due telefoni a gettoni. Si esce solo per incontrare gli avvocati. Questo posto è brutale, qui ci sono detenuti altro che ospiti. Ho sentito un migrante che chiedeva dei calmanti per placare la sua ansia legata al rimpatrio”.

Allo “zoo” Wissem è arrivato il 13 ottobre 2021, con i suoi 26 anni e tutto il carico di speranze. Si è subito reso conto che sarebbe tornato a Tunisi. Ha protestato dentro il Cpr, qui è partita la sua breve storia clinica. Il 25 ottobre, è scritto in cartella, il ragazzo mostra i primi segni di squilibrio psicologico. Che però sulla nave quarantena, quando è sbarcato in Sicilia, non c’erano. Dall’8 novembre gli vengono somministrati tranquillanti, iniziano i tremori. Il 19 novembre lo psicologo chiede un’altra consulenza. “È aggressivo, rifiuta la terapia da 4 giorni”, scrive lo specialista. “Qualcuno lo ha sbattuto contro un muro”, denunciano i compagni di Cpr. Il 23 novembre il primo ricovero per disturbo schizoaffettivo, il 118 lo trasferisce alla Psichiatria del Grassi di Ostia.

Il pannello dei legacci - Haldol, Talofen, Depakin, En. È la terapia somministrata a Wissem al Grassi. Ilaria Cucchi arriva alle 13 di venerdì scorso, ha annunciato l’ispezione come prevede la legge. Di fronte all’ospedale su una saracinesca c’è scritto “Cucchi vive”, sembra un’incitazione alla senatrice. Nel reparto, primario Piero Petrini, il corridoio ospita gli uffici e sei stanze. Sedici i pazienti ricoverati. “Servirebbe parlare di più invece di ingoiare solo farmaci”, si sfoga una paziente. Nella stanza della caposala c’è un pannello con tanti chiodi a cui sono appesi i legacci per la contenzione. Una dottoressa alza il lenzuolo per mostrarli alla parlamentare. “Non ho trovato ricoverati legati ma un’infermiera mi ha confidato che un paziente è rimasto in contenzione più di un giorno”, racconta la senatrice. Che ha trovato anche un detenuto ricoverato da 20 giorni. “Uomini e donne erano dormienti e l’infermiera che mi ha parlato è stata allontanata”, è il suo resoconto. Wissem è sempre rimasto legato al letto del reparto per “stato di necessità”. Ma l’avvocato Francesco Romeo a quella necessità ha sempre creduto poco. “Si indaghi per sequestro di persona al Grassi e al San Camillo”, è la sua ultima richiesta alla procura in nome della famiglia che dalla Tunisia chiede più indagini.

Il reparto della morte - La procura ha iscritto per omicidio colposo e falso i nomi di quattro sanitari della Psichiatria dell’Asl3, l’ultimo approdo di Wissem il 25 novembre del 2021. Il cambio di reparto arriva per competenza territoriale. Wissem è già imbottito di farmaci. Gli esami sono buoni, il giorno dopo un valore che esprime la corretta funzionalità dei muscoli è di 35 volte maggiore rispetto al normale. Una spia ignorata. Al San Camillo Wissem non si alzerà mai perché i legacci saranno stretti fino alla morte, la notte del 28 novembre. Ilaria Cucchi resta nel reparto un’ora e mezza. “Mi sono fatta legare a una sedia - racconta all’uscita - e ho colto tutta la sofferenza dei malati. Tutti i pazienti, meno di dieci, non erano reattivi. Non sono riuscita a parlargli. Uno sta lì da tre anni. Non ci sono spazi di socializzazione, il day hospital non ha bagno”.

Wissem è morto sul letto 16 (1C), in corridoio. “Lo volevo lì per monitorarlo meglio”, è stata la giustificazione shock del primario Piero Petrini, lo stesso di Ostia, a Repubblica. Nessun mediatore ha ascoltato cosa avesse da dire quel giovane che si agitava tanto e al quale nessuno ha eseguito un elettrocardiogramma. “Adesso ci sono”, ha accertato Ilaria Cucchi.

Letti in corridoio non ce ne sono, non arrivano più migranti dal Cpr. Wissem, secondo la procura, è morto per un mix fatale di farmaci. Il medico legale ha trovato nei suoi tessuti un tranquillante che non era in cartella. Morire era messo in conto da Wissem quando è salito sul gommone per la Sicilia. Ma il mare è stato clemente con lui. Poteva ucciderlo il Covid sulla nave quarantena a Lampedusa. Neanche quello è successo. Wissem è stato inghiottito dal buco nero dello Stato. Non ha vissuto in Italia un solo minuto di libertà, non ha potuto fare richiesta di asilo politico. E quando un giudice ha deciso che poteva lasciare le gabbie del Cpr, nessuno gli ha notificato la sentenza. Era il 24 novembre 2021, lui era già legato a un letto d’ospedale.