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di Andrea Ossino

La Repubblica, 8 marzo 2023

La donna era in una cella da tre giorni. Solo un anno prima anche il suo compagno era morto nella stessa prigione. È morta in carcere, come era accaduto al suo ragazzo appena un anno fa. Una vita dentro e fuori le sbarre, quella della coppia, imbrigliati nella dipendenza della droga, con il fisico provato dagli effetti delle sostanze.

Nessuna comunità, solo ordinanze di custodia cautelare. Lei, italiana di 47 anni, doveva firmare quotidianamente davanti alle forze dell’ordine. Non lo ha fatto e sabato è stata accompagnata nella sezione femminile del carcere di Rebibbia. E lì dopo tre giorni è morta, da sola, lontano dagli altri detenuti, in una cella di isolamento dove era stata accompagnata rispettando le norme per contenere il coronavirus. Il corpo della donna è stato trovato senza vita solo due giorni fa, da un’altra detenuta incaricata di portare le colazioni e la sua storia è venuta alla luce solo grazie alla presenza costante nei penitenziari della garante dei detenuti, Gabriella Stramaccioni.

L’idea di chi indaga è che la quarantasettenne sia morta in seguito a un problema di salute. Del resto la notte prima, intorno alle 23,30, era stata visitata da un medico. Il dottore evidentemente non ha riscontrato nulla che potesse far pensare a un simile epilogo e non avrebbe chiesto di trasferire la donna in ospedale o quantomeno di farle trascorrere la notte in infermeria. Dinamiche sulle quali sarà necessario fare chiarezza con un’indagine, iniziando a capire le cause della morte: una risposta che potrà arrivare solo con l’autopsia.