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di Lucandrea Massaro

romasette.it, 25 luglio 2023

Le testimonianze degli operatori di Volontari in carcere, che lavora per aiutare i detenuti nella fase conclusiva della loro esperienza, tra pregiudizi e ostacoli della burocrazia. Maurizio De Pillis, operatore dell’associazione Volontari in carcere (Vic), una realtà che nasce dall’esperienza di un gruppo di volontari della Caritas di Roma, lavora nella casa di accoglienza del Vic a Montesacro, un luogo che accoglie soprattutto detenuti in permesso premio, persone che restano quindi pochi giorni e non hanno altre possibilità di un luogo dove appoggiarsi. Alcuni restano per la fine della pena ai domiciliari. Lui è un insegnante e ha nella cura del prossimo la sua vocazione, una parola che torna spesso nel nostro colloquio. È col Vic dai tempi del Covid: “Il nostro è un lavoro di accoglienza, che significa andare incontro alle questioni più pratiche come l’organizzazione della casa, fino all’incontro con loro, per costruire uno scambio normale e per non farli sentire “diversi”, ma aiutarli nel loro reinserimento”. “Noi non giudichiamo, non ci riguarda spiega ancora -. E questo atteggiamento da parte nostra è di grande aiuto per loro”. Sono tante le difficoltà che chi è nella fase conclusiva della sua esperienza carceraria deve affrontare, dal pregiudizio verso i detenuti fino a questioni personali e di salute.

L’accompagnamento è anche rispetto agli ostacoli della burocrazia perché “molto spesso sono persone che vengono da ambienti disagiati, con poca istruzione, e hanno bisogno di aiuto per far valere i propri diritti o ottenere un documento”. La casa di accoglienza è una opportunità di progressiva responsabilizzazione per i detenuti, a cui viene lasciata autonomia pur se supervisionata. “Osserviamo con discrezione”, afferma Maurizio sorridendo. A volte è un lavoro difficile: “Noi siamo sempre a contatto col dolore, sono persone con un passato difficile, che hanno subìto la privazione della libertà”. E le persone più anziane, quelle con più anni alle spalle, sono le più difficili da gestire.

Ivana Figliomeni invece è una volontaria che ogni settimana va al carcere di Rebibbia rendendosi disponibile “per parlare con loro, dando così una possibilità di sfogo” e “anche reperire vestiario per i detenuti che non hanno la famiglia vicina. Ricordo - racconta - un ragazzo con la famiglia in gravi difficoltà economiche formata da lui, dalla madre malata di Alzheimer e dal fratello che viveva al nord, e lui si era ritrovato a fare rapine per occuparsi di questa madre malata. Ma tanti ringraziano il carcere perché senza, raccontano, chissà che fine avrebbero fatto”.