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di Fabrizio Dragosei

Corriere della Sera, 18 febbraio 2024

Mistero sulla salma del dissidente russo. Nel penitenziario siberiano alcune telecamere fuori uso. Un detenuto: “Già la notte precedente era successo qualcosa”. Gli oppositori del Cremlino, i collaboratori di Aleksej Navalny e soprattutto i familiari sono sempre più convinti che la morte del dissidente non sia avvenuta come dicono le fonti ufficiali. Anche perché il corpo del prigioniero più famoso del Paese non viene restituito ai suoi cari e, addirittura, non si sa dove sia. E poi pare che le telecamere di sorveglianza in questi giorni fossero fuori uso.

Dopo un viaggio complicatissimo in treno e poi in auto la madre Lyudmila è arrivata ieri assieme all’avvocato nel carcere di massima sicurezza IK-3 di Kharp, una cittadina nell’estremo Nord che originariamente era un’installazione del famigerato Arcipelago Gulag. Solo che non ha potuto vedere la salma, trattenuta per “i necessari esami” legati all’inchiesta, che potrebbe durare fino a 30 giorni. Dove? A Salekhard, le hanno detto, il capoluogo della regione. Ma l’obitorio, contattato da diverse persone, ha negato di aver ricevuto il corpo di Navalny. Semplici disguidi burocratici? Difficile crederlo, vista la delicatezza del caso. E poi emergono notizie e incongruenze che aumentano i sospetti. Navalny aveva detto ai suoi che l’ora d’aria gli veniva concessa alle sei e mezza del mattino, il momento più freddo della giornata. Invece, secondo la versione ufficiale, si sarebbe sentito male alle 13, “durante la passeggiata” (si chiama così il poter sgranchire le gambe in un cortile di 2 metri per 6 circondato da alti muri).

Fino al giorno prima, l’oppositore appariva in buona salute. Poi, il 16, sarebbe stato colpito da “sindrome da morte improvvisa”. Ma alla Novaya Gazeta un detenuto ha raccontato che già la notte del 15 e la mattina presto al carcere c’era grande agitazione. Con macchine in arrivo, reclusi riportati improvvisamente nelle celle. Insomma, era successo qualcosa di grave.

Un sito d’opposizione, Sota, sostiene di aver saputo che da quattro mesi stavano lentamente avvelenando Navalny. Tesi, ovviamente indimostrabile, visto che comunque l’autopsia verrà effettuata in strutture sotto il controllo del Cremlino.

Certo è che anche senza avvelenamento Navalny ha vissuto gli ultimi anni in condizioni che sono andate via via peggiorando. Prima nella colonia penale vicino a Vladimir, poi con il trasferimento oltre il Circolo polare artico. Venti giorni di viaggio con innumerevoli soste in vari centri di detenzione: da Vladimir a Mosca; poi Chelyabinsk, Ekaterinburg, Kirov, Vorkuta e infine Kharp. Dall’inizio della sua prigionia, nel 2021, era stato sbattuto in cella d’isolamento almeno 27 volte per mancanze ridicole e spesso pretestuose, secondo i suoi. In totale trecento giorni. A Kharp si è trovato in un carcere particolarmente duro, con agenti armati di mitragliatrici e regole ferree. Celle umide e piene di muffa, cibo scarso e di pessima qualità, secondo le testimonianze. Anche l’acqua è spesso razionata. Appello in piedi all’aperto due volte al giorno con qualsiasi temperatura.

Olga Romanova, capo della fondazione “Russia che sta dentro” racconta che a Kharp ci sono stati casi di detenuti portati all’aperto in giornate gelide dai secondini che poi gettavano loro addosso secchiate d’acqua. Navalny tendeva sempre a sdrammatizzare quello che gli accadeva per non preoccupare moglie e figli, anche se il suo aspetto denunciava chiaramente le privazioni. Subito dopo l’arrivo a Kharp aveva scherzato sul fatto che gli avevano dato un cappotto di montone e un colbacco. “Sono un po’ stanco per il viaggio ma di ottimo umore”.